Avanti in marcia per tornare indietro. Il popolo pro Remain rilancia in massa, nel cuore di Londra, la sua sfida a una Brexit sempre più nebulosa con l'obiettivo di sempre: un secondo referendum, un altro "People's Vote", destinato nelle speranze di chi non ha mai accettato il risultato del 2016 - e men che meno l'accetta nel caos di oggi - a riportare il Regno esattamente dov'era 3 anni fa. Dentro l'Ue.
Marcia di protesta anti-Brexit a Londra
Una ribellione colorata e pacifica, ma anche allarmata e stufa fino allo sdegno verso i bersagli di rito: su tutti la vacillante quando cocciuta premier Tory, Theresa May. Un moto popolare che porta in strada "oltre un milione di persone", stando ai promotori. Più dei 700.000 rivendicati nell'analogo raduno dell'ottobre 2018, qualcosa che non si vedeva in Gran Bretagna dalle oceaniche proteste contro la guerra in Iraq di Tony Blair e George W. Bush del 2003. Una folla in carne ed ossa sostenuta dall'esercito virtuale (ma reale) dei quasi 4,5 milioni di sottoscrittori della petizione online al Parlamento per la revoca dell'articolo 50, ossia l'atto di divorzio da Bruxelles, lanciata a costo di qualche minaccia di morte dalla 77enne accademica in pensione Margaret Georgiadou e arrivata a toccare in questi giorni un record assoluto di firme. Partiti di da Hyde Park e sfilati per il centro della capitale attraverso Piccadilly, i partecipanti del corteo si sono infine riversati (almeno quelli che sono riusciti a trovare posto) in Parliament Square, di fronte al palazzo di Westminster. Il luogo in cui l'accidentato cammino in direzione della Brexit dovrebbe essere deciso la prossima settimana sullo sfondo di uno stallo e di veti incrociati che peraltro hanno indotto la stessa May, in una lettera inviata ieri sera ai deputati, a non escludere la cancellazione del preannunciato terzo tentativo di ratifica dell'accordo raggiunto con i 27.
Brexit, May: "Terzo voto su accordo solo se c'è sostegno"