Due scalatori, un britannico e un irlandese, sono morti nelle ultime 24 ore sull'Everest dopo aver avvertito un malore a causa dell'altitudine. Lo riporta la Bbc. Si tratta dell'ottava e della nona vittima in una settimana e la decima della stagione cominciata il 14 maggio, mentre aumentano le polemiche sul sovraffollamento del 'tetto del mondo' e l'elevato numero di permessi rilasciati dalle autorità del Nepal: 381 per la sola stagione primaverile, al costo di 11.000 dollari ciascuno.
La foto della cima dell'Everest affollata da oltre 300 scalatori in fila uno dietro l'altro, postata tre giorni fa su Instagram da Nirmal Purja e diventata subito virale, ha scatenato dure polemiche sul rischio che gli alpinisti corrono proprio a causa del 'traffico' ad alta quota.
Il capo dell'ufficio del turismo nepalese Danduraj Ghimire ha definito "senza senso" le voci secondo le quali tra le cause di morte degli scalatori potrebbe esserci il sovraffollamento della cima e i tempi lunghissimi, fino a due ore di coda, per raggiungere la vetta.
Tuttavia secondo gli esperti l'ipotesi non è del tutto infondata tanto più che il mal di montagna è già la prima causa di morte. Ad un'altezza di 8.848, infatti, ogni respiro contiene un terzo dell'ossigeno rispetto a quello che si trova al livello del mare. Il corpo umano, inoltre, si deteriora più rapidamente e può sopravvivere a quelle altitudini solo pochi minuti. Nella foto diventata ormai diventata famosa si vedono circa 320 persone presenti contemporaneamente in un punto noto, secondo l'autore dello scatto, come "la zona della morte". L'ultima vittima, ieri, l'americano Donald Cash, 55 anni, che aveva lasciato il suo lavoro di manager per realizzare il sogno di scalare le sette cime, le montagne più alte in ciascun continente. Nell'ultimo messaggio mandato ad uno dei suoi quattro figli prima di sentirsi male aveva scritto: "Mi sento così fortunato ad essere sulla montagna che ho sognato per 40 anni".