(di Benedetta Guerrera) - Bufera sui vertici di Amnesty International. Cinque dei sette top manager hanno deciso di lasciare il loro posto dopo che un rapporto interno, pubblicato a febbraio, ha denunciato la presenza di un clima avvelenato all'interno dell'organizzazione per i diritti umani.
Abusi di potere, umiliazioni, bullismo, discriminazione. Era un quadro a tinte cupe quello emerso dall'indagine voluta dal segretario generale Kumi Naidoo dopo che l'anno scorso due dipendenti si erano suicidati nelle sedi di Parigi e Ginevra a distanza di poco più di un mese l'uno dall'altro. Uno, il 65enne Gaëtan Mootoo, aveva anche lasciato una lettera in cui raccontava di essere molto stressato per il troppo lavoro e di essersi sentito "abbandonato e dimenticato". Il rapporto, realizzato dal KonTerra Group con l'aiuto di un team di psicologi, è basato su colloqui con quasi 500 dipendenti di Amnesty. In molti hanno fornito esempi dettagliati di episodi di bullismo subiti da parte dei dirigenti. Alcuni hanno rivelato di essere stati sminuiti e insultati durante le riunioni con frasi come: "Sei una merda! Dovresti andartene. Se resti, la tua vita diventerà un incubo". Altri hanno denunciato discriminazioni di genere, razziali e ai danni dello staff Lgbt.
In generale dall'indagine viene fuori che il management dell'organizzazione internazionale aveva creato una dinamica del "noi contro loro" nella quale i dipendenti erano naturalmente l'anello debole. Un clima "tossico" che, secondo il rapporto, esiste dagli anni 90. Il sindacato Unite, che rappresenta centinai di impiegati di Amnesty in tutto il mondo, ha rivelato che uno su tre ha confessato di "essere stato bullizzato o trattato male" dal 2017 a oggi. I manager hanno ammesso le loro responsabilità e hanno offerto le loro dimissioni, ha dichiarato alla Bbc un portavoce di Amnesty.