Erano quasi le otto di mattina a Mogadiscio, l'ora di punta, quando la città è precipitata in un vortice di terrore e morte: un camion-bomba, condotto da un attentatore suicida, è stato fatto esplodere in un affollato incrocio, al centro di una coda che si era formata davanti ad un checkpoint. Il bilancio è uno dei più gravi degli ultimi anni: almeno 76 morti e oltre un centinaio di feriti. In un istante, il camion si è trasformato in una enorme palla di fuoco, che ha lanciato in ogni direzione una infinità di schegge e frammenti incandescenti, uccidendo e devastando ogni cosa in un raggio di decine e decine di metri. I sopravvissuti, i testimoni e i soccorritori parlano di corpi martoriati, mutilati e carbonizzati, al di là di ogni possibile riconoscimento.
E delle urla disperate e straziantii che si sono levate tra i rottami di auto, il fumo e le fiamme subito dopo l'esplosione, dei feriti e delle persone alla ricerca dei loro cari investiti dalla potente onda d'urto. Il numero delle vittime - tra cui figurano molti studenti universitari, oltre a donne e bambini e diversi agenti di polizia - potrebbe purtroppo continuare a salire. Negli ospedali molti feriti sono infatti arrivati in condizioni disperate. Fino a tarda sera nessun gruppo aveva rivendicato l'attacco, anche se sembrano esserci pochi dubbi sulla matrice jihadista, in particolare sulla possibilità che siano stati gli estremisti islamici di al Shabaab. Tuttavia, secondo Rita Katz, che con il gruppo Site monitora online la galassia jihadista, è possibile che una loro rivendicazione non giunga mai. La maggior parte degli attentati rivendicati dagli Shabaab sono stati infatti quelli che hanno colpito zone frequentate da quelli che loro chiamano "agenti stranieri" o contro obiettivi percepiti come nemici, come le forze di sicurezza, mentre oggi sono morte soprattutto decine di civili musulmani, e questa circostanza potrebbe danneggiare la loro causa.