Scontri, fughe, caos. Il premier ungherese Viktor Orban alza di nuovi i toni contro i profughi e l'Europa - "chiuda le frontiere o arriveranno a milioni", tuona - ma la nuova cortina di ferro che sta alzando al confine meridionale con la Serbia non ferma la marea di migranti. Bloccati dalla polizia gridano "lasciateci andare" e in un'escalation che cresce di ora in ora forzano i blocchi e si mettono di nuovo in marcia sulle autostrade. In tanti vengono inseguiti, bloccati, riportati nei campi, ma tanti altri riescono a fuggire tra i campi.
Oggi, nei pressi di Roszke, l'ennesima "grande fuga": complice la notte, a centinaia sono riusciti a rompere la morsa degli agenti e vagano nei campi di granturco, tentando di raggiungere a piedi una stazione, per dirigersi poi a Budapest e quindi in Austria o Germania: la terra promessa.
Alla stazione ferroviaria di Szeged però la tenaglia è scattata già da 24 ore: a nessuno è permesso lasciare la cittadina se non in possesso della "carta" di identificazione della polizia. Ai controllori sui treni, costretti domenica proprio dalla polizia a far risalire i profughi senza biglietto che avevano fatto scendere dai convogli, oggi è stato ordinato tassativamente di chiedere la "carta" di identificazione ai profughi. Chi non ce l'ha, viene consegnato alla polizia alla stazione successiva.
Drammatica la situazione a Rozske. Nel "centro di identificazione" provvisoriamente allestito in uno spiazzo di terra circondato da campi di granturco, in aperta campagna, decine di volontari ungheresi e austriaci che portano generi di prima necessità e medicinali. "Temiamo ci sia anche qualche caso di tubercolosi", dice un attivista prima di inoltrarsi nel campo per distribuire gli aiuti. Tutta l'area è presidiata in forze dalla polizia ungherese in tenuta antisommossa.
Molti profughi che oltrepassano un varco nei pressi dei binari di una ferrovia, a due passi dagli operai che stanno ultimando la costruzione del muro di cemento e filo spinato, decidono di tornare indietro. Altri tentano di evitare la polizia sparpagliandosi a gruppetti nei campi di granturco. "Ci prenderanno le impronte digitali?", chiedono una madre ed un figlio fuggiti da Idlib, in Siria, assieme alla famiglia composta da altre 8 persone, tra cui tre bimbi e tre anziani.
"Non vogliamo rimanere qui, vogliamo andare in Austria o Germania, perché ci devono identificare?", si lamenta il giovane consapevole che in caso di identificazione saranno costretti a rimanere in terra ungherese per chissà quanto tempo. Ore prima, alcune decine di migranti e profughi hanno cercato di scappare dal campo di accoglienza, che dista circa 5 km dal 'campo' in terreno aperto, senza luce, acqua. Sono stati ripresi in breve tempo dalla polizia. 'Libertà', 'Non vogliamo stare qui', hanno scandito a gran voce. In serata a centinaia si sono accampati fuori dalle strutture di accoglienza, sorvegliati a vista da decine e decine di agenti. E Orban, oltre che a tuonare contro Bruxelles e la Germania, oggi non ha trovato di meglio che cacciare il suo ministro della Difesa per non aver completato in tempo il muro anti-migranti.
L'Ungheria è in Europa, ma stasera, negli occhi di questi disperati, sembra in un altro continente.