Se l'obiettivo era far tornare sotto i riflettori la causa dell'indipendentismo catalano - e la sua persona - Carles Puigdemont può ben dire di esserci riuscito. Appena due giorni dopo il nuovo mandato di arresto europeo emesso nei suoi confronti da Madrid, il leader separatista è stato fermato in Germania domenica 25 marzo mentre cercava di rientrare in Belgio, Paese scelto come rifugio quattro mesi fa. E ora rischia concretamente di ritrovarsi nel giro di pochi mesi in una cella spagnola. La notizia del fermo ha avuto il primo effetto di infiammare la Catalogna. Migliaia di indipendentisti sono scesi in piazza a Barcellona e a Girona.
Nella capitale catalana ci sono stati anche scontri con la polizia. Gli agenti hanno sparato colpi a salve, caricato e colpito con i manganelli i manifestanti che lanciavano oggetti e cercavano di irrompere negli uffici del rappresentante di Madrid. I manifestanti hanno poi bloccato il traffico in quattro diverse autostrade. Forse non è un caso che la Spagna abbia atteso che Puigdemont uscisse dal Belgio per emettere un nuovo mandato d'arresto, dopo un primo tentativo abortito a dicembre scorso. Per il leader catalano il problema è che rispetto al sistema giudiziario belga, tra le cui pieghe i suoi legali hanno avuto buon gioco a destreggiarsi, quello tedesco riconosce in toto i reati contestati da Madrid: ribellione e malversazione.
E un trasferimento in Spagna appare molto più probabile, vista anche l'ottima collaborazione giudiziaria tra i due Paesi. Gli avvocati tuttavia promettono battaglia e trapela l'idea di chiedere asilo politico a Berlino. Anche questa però, secondo le prime dichiarazioni delle autorità tedesche, sembra una strada in salita. L'ex presidente catalano era di rientro da un viaggio in Finlandia per "internazionalizzare la crisi" catalana quando la polizia tedesca lo ha bloccato appena superata la frontiera dalla Danimarca.
I tempi per una decisione sull'estradizione sono di due mesi al massimo, prorogabili a tre in casi eccezionali. Una finestra che Puigdemont potrebbe sfruttare di nuovo per tenere alta l'attenzione su di sé e sulla causa catalana, come nel primo periodo belga. L'ex presidente era riparato a Bruxelles e poi nelle Fiandre insieme a quattro suoi ex ministri a ottobre scorso, dopo avere proclamato l'indipendenza della Catalogna, violando la Costituzione spagnola.
Da allora non sembra esserci pace per la regione autonoma, che ha affrontato nuove elezioni e una travagliata fase per la formazione di un governo, ancora in pieno caos. L'ultimo colpo in ordine di tempo l'arresto, venerdì scorso, del candidato presidente Jordi Turull, incriminato insieme a quattro altri leader indipendentisti per 'ribellione'. Lo stesso capo d'accusa che pende su Puigdemont, per il quale rischiano tutti fino a 30 anni di carcere.
"Arrestare per motivi politici un rappresentante del popolo, come accaduto con l'ex presidente catalano Puigdemont, è inaccettabile. I problemi si risolvono con il dialogo e il rispetto della volontà dei cittadini, non con le manette", ha commentato dall'Italia il segretario della Lega Matteo Salvini.
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— Fotomovimiento (@Fotomovimiento) 25 marzo 2018