Ancora un piccolo passo avanti nelle ricerche di Silvia Romano. Le autorità kenyane hanno annunciato di aver arrestato la moglie ed il suocero di uno dei sospetti rapitori della volontaria italiana: la donna è stata intercettata al telefono con il marito, e potrebbe dare informazioni utili sul luogo in un cui la ragazza scomparsa martedì è tenuta nascosta. E' trascorso un altro giorno dal sequestro della ragazza milanese e in Italia si attendono ancora sue notizie, tra ansia e speranza. La polizia locale continua a cercarla, convinta che la pista della criminalità comune in cerca di denaro sia quella giusta. E che non ci sia, almeno al momento, la mano di gente ben più pericolosa, come i terroristi islamici di al Shabaab, nascosti nella confinante Somalia. Le indagini, che finora hanno portato a diversi arresti, sono concentrate sulla caccia a tre uomini, di cui sono stati diffusi nomi (Ibrahim Adan Omar, Yusuf Kuno Adan e Said Adan Abdi) e foto segnaletiche, probabilmente legati al commando che il 20 novembre ha prelevato con la forza Silvia Romano nel villaggio di Chakama, nella savana ad un'ottantina di chilometri a nord-ovest di Malindi. La polizia, fiduciosa che la ragazza sia viva e tenuta prigioniera nella foresta, ha anche promesso una ricca taglia alla comunità, prevalentemente di pastori, per chiunque fornisca informazioni utili. Il cerchio sui ricercati, nel frattempo, si stringe. Dopo il fermo della moglie e del suocero di Said Adan Abdi, in un'operazione condotta nel villaggio di Tarasaa a Garsen, nella contea di Tana River, ai giornalisti è stato spiegato che la donna è stata intercettata al telefono con il presunto rapitore, e adesso i due fermati saranno "interrogati per ottenere maggiori informazioni sull'ubicazione" della ragazza rapita "e sulle sue condizioni". Inoltre, è stato richiesto l'aiuto degli anziani dei villaggi vicini per avere altre informazioni. A Roma la parola d'ordine è "massimo riserbo", come ha spiegato nei giorni scorsi il ministro degli Esteri Enzo Moavero. E si continua a lavorare sotto traccia in costante contatto con le autorità locali, con l'obiettivo primario di garantire la sicurezza della volontaria 23enne. A Nairobi si crede che Silvia sia in mano a criminali comuni e che non sia stata ceduta ai gruppi qaedisti somali, grazie anche ai controlli al confine rafforzati ormai da anni per prevenire l'infiltrazione dei jihadisti. La pista di un rapimento a scopo di riscatto è suffragata anche da diverse testimonianze sul posto. Ad esempio Zakaria Dhulu, un abitante del villaggio di Chakama che collabora con la onlus di Fano Africa Milele, la stessa per cui lavora Silvia, ha riferito - secondo quanto riporta il dorso kenyano dello Standard - che il commando potrebbe aver preso la giovane dopo un tentativo di rapina. Lo stesso Dhulu ha spiegato di aver incontrato Silvia il giorno del sequestro, per programmare delle visite in alcuni villaggi della zona, a dicembre.