Al quinto anno di guerra civile in Siria, costata finora circa 230mila morti e milioni di profughi, il presidente Bashar al Assad ha ammesso che le sue truppe sono state costrette ad abbandonare alcune aree del Paese. Nel suo primo discorso pubblico dopo un anno, pronunciato alla televisione, Assad ha assicurato che la vittoria arriverà, ma lo sfibrante conflitto contro i ribelli, diventato ancora più sanguinoso con l'avanzata dello Stato islamico, ha messo in serie difficoltà le truppe regolari, che non hanno più le forze numeriche per difendere l'intero Paese. Tanto più che i ribelli godono di sempre maggiore sostegno esterno, ha sottolineato il leader siriano, riferendosi all'Arabia Saudita, la Turchia e il Qatar, le potenze regionali sunnite che puntano a detronizzare la dinastia alawita (setta sciita) al potere in Siria da oltre 40 anni, anche in chiave di contenimento dell'Iran. "A volte, in alcune circostanze, siamo stati costretti a ritirarci da alcune aree per difenderne altre, facendo una scelta sulle regioni più importanti dal punto di vista politico, economico e militare", ha spiegato Assad, che attualmente controlla poco meno della metà del territorio siriano. Assad ha mantenuto una vaga apertura al dialogo politico, ma ha avvertito che "la parola sconfitta non esiste nel dizionario dell'esercito siriano", promettendo poi solennemente: "Resisteremo e vinceremo". Nel frattempo, però, è stato costretto a concedere un'amnistia generale per i disertori, molti dei quali andati a combattere per i ribelli, e per i molti giovani in fuga per scampare alla leva. Assicurando anche di pagare meglio i soldati di prima linea."