Due sono i vincitori delle elezioni e sarebbe una forzatura non assecondare il lavoro di Matteo Salvini e Luigi Di Maio in questa prima fase. In uno scenario che prevede diverse maggioranze i freddi numeri non bastano: c'è anche una lettura politica e Sergio Mattarella ha spiegato di essere "portavoce" degli elettori. L'obiettivo del Quirinale è "laico" e rispettoso del voto: bisogna tentare un Governo di legislatura. Tutte le altre opzioni - ultima quella del ritorno alle urne - vengono per ora tenute nel cassetto più profondo della scrivania di Sergio Mattarella. Ma via via che il tempo passa e il sodalizio personale Salvini-Di Maio regge, molti nel Pd iniziano a realizzare cosa significherebbe veramente rimanere cinque anni all'opposizione. Rumours insistenti annunciano una mossa clamorosa di Renzi mentre anche oggi Dario Franceschini ha incitato i Dem a contrastare lo spettro di un Governo "sovranista" a guida Lega-M5s.
Un ritorno del Pd in scena, paradossalmente, potrebbe complicare le cose invece che chiarirle. Il timone del presidente comunque fa viaggiare la nave in questa direzione, a vele lasche sfruttando una leggerissima brezza costante. Un accordo Lega-M5s si evince dai fatti (la rapida soluzione delle presidenze delle Camere e la presidenza della Commissione speciale che andrebbe al leghista Giorgetti)) e si ricava chiaro dalle dichiarazioni di leghisti e pentastellati che, pur passando per arretramenti tattici, confermano ogni giorno che il sentiero è tracciato. A tal punto da sembrare veramente una strada senza ritorno. Anche le aperture di Di Maio al Pd sembrano fatte più per spaventare gli alleati di Salvini nel centrodestra che per vera volontà politica. Tutti segnali che il capo dello Stato legge meglio di chiunque altro. I sensori del Colle captano quanto si sta lentamente muovendo e quindi la linea non cambia. Dare tempo, nessun incarico al buio e la minaccia del mandato esplorativo, magari a Salvini, lasciata là a galleggiare, più per fare paura che per essere usata. Almeno in questa fase. Più probabile, magari alla fine del terzo giro di consultazioni - che già tutti danno per scontato - un incarico a una figura terza, al presidente del Senato Casellati o, più difficile, a quello della Camera Fico.
Un tentativo di questo tipo potrebbe permettere a Salvini e Di Maio di entrare nei dettagli della trattativa, andando più a fondo della sterile contrapposizione sulla premiership. Magari affrontare anche il delicatissimo nodo dei ministeri. Un mandato esplorativo a una figura terza avrebbe inoltre il vantaggio di smuovere le acque sotto l'ombrello presidenziale sgravando i due leader di parte delle responsabilità. E, ancora, darebbe modo al presidente di avere un ruolo pro-attivo nella gestione della crisi senza per questo rinunciare all'obiettivo di formare un Governo pienamente politico e non un esecutivo allargato "a chi ci sta" per tornare al voto. Quel che è chiaro è che Mattarella, se da qui a giovedì (inizio delle seconde consultazioni) non registrasse novità alcuna sarebbe costretto a spendersi, lanciando in campo il suo peso con una dichiarazione-appello che renda chiaro che il tempo si sta esaurendo.