In Italia la laurea resta solo un "pezzo di carta". Ad arrivarci è 1 giovane su 5 che poi però resta senza lavoro. Come segnala il portale Skuola.net, il divario con i laureati degli altri Paesi che restano a casa è tanto, più di 10 punti percentuali. Meglio avvantaggiarsi iniziando a lavorare il prima possibile? Assolutamente no. In Italia solo il 5% dei giovani lavora mentre è ancora sui libri. È quanto emerge dall'ultimo rapporto intermedio Ocse, Education at Glance.
QUANDO LA LAUREA NON SERVE A NIENTE - Aumentano i giovani che riescono a laurearsi facendo retrocedere quelli in possesso del solo titolo superiore, ma non in Italia. Qui ce la fa solo 1 studente su 5 che poi ha il 16% di probabilità di non trovare lavoro. Una percentuale davvero preoccupante se si considera che la media Ocse di giovani disoccupati dopo la laurea non supera il 5.3%. Ma un primato ce l'abbiamo, anche se non è positivo. È quello della presenza di Neet, i famosi Not in Education, Employment or Training. Di coloro che non fanno niente, insomma, e che in Italia hanno tra i 15 e i 29 anni e arrivano a toccare il 30%. Un primato in cui non siamo soli. A farci compagnia ci sono Grecia e Spagna, mentre la Turchia ci supera di 6 punti percentuali registrando comunque un calo rispetto agli ultimi anni.
VITTORIA ROSA - Nella secolare guerra tra maschi e femmine, quest'ultime segnano un punto nella casella istruzione. Stando al rapporto Ocse il 46% di ragazze tra i 25 e 34 anni è in possesso di una laurea, contro solo il 35% dei coetanei di sesso opposto. Più simili le percentuali delle donne e degli uomini con un titolo di studio superiore e più o meno uguali se parliamo, invece, di Neet.
MA QUALE LAVORO, IO STO STUDIANDO - E mentre si studia non si lavora. In Italia si registra la percentuale più importante di studenti che non lavorano, cosa invece considerata normale nella maggior parte degli altri Paesi. Da noi, il 5% degli studenti lavora meno di 10 ore settimanali, al contrario di Canada, Stati Uniti e Islanda, dove i ragazzi arrivano a lavorare anche 34 ore a settimana. Inutile dire che in questo modo l'esperienza di un laureato italiano si riduce prettamente a quella accademica rendendolo molto meno competitivo sul mercato internazionale.