"Se Steve Jobs fosse ancora vivo sarebbe in galera?": a chiederselo in maniera provocatoria è il New York Times, che riporta la tesi di chi sostiene che il fondatore della Apple sia stato l'ideatore, il principale promotore del cartello tra i big della Silicon Valley per tenere bassi i salari dei dipendenti. Una vicenda per la quale Apple, Google, Adobe e Intel hanno già deciso di patteggiare per evitare le conseguenze di una class action lanciata da ben 64.000 lavoratori.
Jobs - scrive il Nyt - "sembra non aver mai letto o aver scelto di ignorare il primo paragrafo dello Sherman Atitrust Act", nel quale si legge che "ogni cospirazione mirata a restringere la concorrenza e il commercio" è illegale. E chiunque violi questa norma - prevede la legge - deve essere considerato "colpevole di un reato, condannato e sanzionato con una multa o con la prigione non oltre tre anni". Oppure con entrambe le sanzioni. "Steve Jobs era una violazione antitrust ambulante, ironizza Herbert Hovenkamp, massimo esperto di norme antitrust e professore alla University of Iowa College of Law, che si dice "stupefatto dai rischi che egli sembra abbia voluto prendere". Il riferimento è anche al presunto cartello organizzato nel settore degli e-book. Contro il 'genio visionario' della Silicon Valley anche il suo biografo, Walter Isaacson: "Steve - ricorda - ha sempre pensato che le regole che si applicano alla gente comune non dovevano applicarsi a lui. Questa era la sua genialità ma anche la sua originalità. Riteneva di poter sfidare le regole della fisica e distorcere la realtà. Ciò che gli ha consentito di fare cose fantastiche, ma anche di spingersi oltre il lecito".