"Gli avvocati della difesa hanno
riportato frasi di Sara decontestualizzate, scritte da in un
momento in cui viveva un disturbo post traumatico da stress,
come diagnosticato da un medico di base una settimana prima che
scomparisse. 'Sono un morto che cammina' è stata detta non a un
collega, ma al compagno di vita, a cui solitamente non si mente,
a causa dell'ambiente di lavoro tossico in cui si trovava". Lo
sostiene Emanuela Pedri, sorella della ginecologa di Forlì
scomparsa il 4 marzo del 2020 in Trentino, intervenuta in
risposta a quanto rilevato dall'avvocato Salvatore Scuto, legale
di Saverio Tateo, ex primario del reparto di ostetricia e
ginecologia dell'ospedale di Trento, dove la professionista
lavorava.
"Certamente Sara era fragile, come lo siamo tutti, ed era
abituata a lavorare lontano da casa, come dimostra il lungo
periodo trascorso a Catanzaro, dove aveva trovato nella sua
fragilità un equilibrio. Ci sono invece le testimonianze di
persone che a Trento l'hanno vista spegnersi a causa dei
maltrattamenti e delle vessazioni provenienti da due persone
precise. E le imputazioni non arrivano dalla famiglia Pedri, che
di quanto stava succedendo a Sara non ha saputo nulla fino
all'ultimo momento, ma dall'azienda sanitaria e dalla
commissione dei garanti, che ha ritenuto di dover licenziare il
primario e trasferire la sua vice", ha aggiunto la sorella,
evidenziando anche come "la risonanza mediatica del caso è
legata all'interesse sociale di quanto emerso".
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