Il Tar della Valle d'Aosta ha ordinato al ministero della Difesa di risarcire con 103 mila euro un alpino per il tumore diagnosticato dopo aver partecipato, tra il 1999 e il 2008, a missioni in Kosovo e in Afghanistan, dove venivano impiegati proiettili anticarro "contenenti uranio impoverito". La sentenza di condanna è del settembre 2017 e a marzo è diventata definitiva, ma il dicastero non ha ancora versato l'indennizzo. Così l'uomo, un trentaseienne di origine valdostana, si è di nuovo rivolto al tribunale amministrativo, che ha accolto anche questo suo secondo ricorso. I giudici hanno inoltre nominato quale commissario ad acta il dirigente della Ragioneria territoriale dello Stato in Valle d'Aosta che, in caso di inottemperanza del ministero, "provvederà al pagamento". Il 26 giugno scorso il ministero, non costituito nel secondo giudizio, aveva emesso un decreto di impegno per il risarcimento, che però all'udienza del 12 dicembre non era ancora stato versato.
Le condizioni del militare erano peggiorate nel 2011: con la diagnosi di un "Linfoma di Hodgkin classico a cellularità mista" - si legge nella sentenza del 20 settembre 2017 - veniva sottoposto a cicli di chemioterapia. Curato e rientrato al lavoro, era stato destinato a mansioni da impiegato. Gli era stata riconosciuta l'indennità per causa di servizio ma non il risarcimento. Concedendo però quell'indennizzo, per i giudici era la stessa amministrazione - "notoriamente restia al riconoscimento" con il Comitato di verifica cause di servizio - a certificare "che l'insorgenza della patologia è dipesa" dalle "condizioni di lavoro, cioè nell'esposizione ad uranio impoverito". Il Tar aveva quindi smentito "la tesi negazionista dell'Avvocatura", secondo cui all'epoca era "oggettivamente impossibile prevedere e prevenire ciò che in quegli anni era sconosciuto e non prevedibile".
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