La procura di Aosta ha aperto un fascicolo per falsa testimonianza dopo la trasmissione degli atti del processo Geenna con rito ordinario da parte del presidente del tribunale di Aosta, Eugenio Gramola.
Contestualmente al deposito della sentenza il giudice ha segnalato indizi del reato a carico dell'ex dirigente della Casinò de la Vallée Valter Romeo, dei fratelli Daniele e Luciano Cordì e di Pasqualina Macrì. Il fascicolo è affidato al pm Luca Ceccanti.
Per il tribunale Alessandro Giachino, all'epoca collega di Romeo (poi divenuto direttore delle pubbliche relazioni al Casinò di Montecarlo) e nel settembre scorso condannato a 11 anni per associazione mafiosa nel processo Geenna, si offrì per provare a vendere un orologio Bulgari da 2.500 euro che il manager voleva cedere. Quell'orologio però passò a Marco Fabrizio Di Donato (uno dei vertici della locale di Aosta per il gup di Torino, che lo condannato a 9 anni) e da allora Romeo non lo ha più rivisto e non ha mai incassato denaro. Dai colloqui tra Marco Di Donato, Alessandro Giachino ed Antonio Raso (condannato a 13 anni) emerge che volevano "consegnarlo a Rosario Strati in pagamento di un debito pregresso". Romeo "è risultato così intimorito" da Marco Di Donato e "dai suoi sodali" da "non avere neppure il coraggio di interpellarlo" e per "evitare qualsiasi problema al riguardo ha addirittura preferito, a distanza di anni dall'accaduto, rispondere genericamente e con reticenza alle domande" in aula.
I fratelli Cordì secondo il tribunale di Aosta hanno ricevuto "un preciso avvertimento di natura mafiosa" dal gruppo Raso-Di Donato, che chiedeva loro di affidare a un cognato di Raso dei lavori edili: sentiti come testimoni hanno però riferito di una situazione di "assoluta normalità" mantenendo fede al "codice d'onore 'ndranghetista".
La vicenda di Pasqualina Macrì riguarda la somma di 100 euro ricevuta - dopo l'arresto di suo figlio Luigi Fazari - da parte di Antonio Raso, per il tramite della madre, sua vicina di casa a San Giorgio Morgeto. Si tratta di un passaggio di denaro che è una forma di "assistenza agli affiliati detenuti" ma che la testimone ha voluto far credere al tribunale fosse destinato "alle brioches dei figli del Fazari".
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