"Siamo fuggite da Kiev il primo giorno di bombardamenti, abbiamo abbandonato tutto. Mio marito ci ha accompagnate verso ovest in auto. Da lì abbiamo attraversato la frontiera con l'Ungheria e, in tre giorni, siamo arrivate in Italia a bordo di un pullman". Nel suo racconto all'ANSA, Alona, 30 anni, non avrebbe immaginato di tornare ad Aosta da profuga, dopo aver già vissuto la città ma come turista. Oggi, seduta accanto alla sorella Anzhelika, due anni di meno, stringe tra le braccia la sua Amaliia. Appena 18 mesi e due grandi occhi azzurri, scoppia a piangere quando la madre si commuove raccontando la loro fuga.
Pochi anni fa Alona aveva visitato le montagne valdostane insieme al marito, militare ora rimasto in patria "per combattere". Prima di partire una decina di giorni fa per Leopoli con un carico di aiuti, infatti, ad Aosta viveva un suo amico dai tempi della leva, Yurii, collaboratore della parrocchia di Sant'Orso. Qui, grazie all'impegno del canonico don Aldo Armellin, da domenica sono ospitate le due sorelle e la piccola, insieme ad altre profughe.
"Una settimana prima dell'invasione - ricorda Alona nella sala da pranzo della parrocchia - il nostro governo aveva invitato la popolazione a preparare una valigia con i documenti e generi di prima necessità. Ogni mattina mi svegliavo chiedendomi se sarebbe servita o meno. Speravo di non doverne avere bisogno". Poi sospira: "Ringrazio tutti coloro che ci hanno accolte. Qui stiamo bene ma non è casa nostra". Il pensiero va ai familiari rimasti in Ucraina: "Non esiste un motivo che possa giustificare una guerra, spero - fissa il vuoto - che non muoiano altri civili". Le fa eco Anzhelika, che ha lasciato anche il suo lavoro da segretaria in un ufficio militare: "Spero che tutto finisca il prima possibile e di poter tornare a Kiev, per festeggiare la Pasqua".
Riproduzione riservata © Copyright ANSA