"Avvicinarsi alla morte è avvicinarsi
alla gioia, ma alludo al superamento di ogni contraddizione che
attraversa la nostra vita perchè siamo costantemente nello
squilibrio e nell'instabilità: non ci attende la reincarnazione
o la resurrezione, ma qualcosa di infinitamente di più". Così
scriveva e ripeteva spesso, nelle sue lectio e nei suoi
incontri, Emanuele Severino, morto il 17 gennaio a Brescia, ma
si è saputo solo oggi, che aveva compiuto 90 anni il 26 febbraio
2019. Un pensiero radicale, il suo, che per la negazione del
'divenire' lo ha portato ad un conflitto con la chiesa cattolica
al punto che nel 1968, 4 anni dopo aver pubblicato 'Ritornare a
Parmenide', su sua richiesta venne istruito un processo dall'ex
Sant'Uffizio, che dichiarò la sua filosofia incompatibile con il
cristianesimo. Un pensiero che Severino, considerato uno dei più
grandi filosofi, scrittori e intellettuali del Novecento, ha
coltivato facendo riferimento, oltre che a Parmenide, ad
Aristotele, Eraclito, Hegel, Nietzsche, Leopardi. Per il
filosofo bresciano l'Occidente vive nel nichilismo, ovvero nella
convinzione che le cose, tutte le cose escono dal nulla e vi
fanno ritorno. Nei numerosi libri pubblicati sin dagli anni '50,
Severino ha mostrato invece che tutto, anche le cose più
insignificanti sono eterne per necessità e la convinzione che
tutte le cose escono dal nulla e vi fanno ritorno è la ''follia
estrema''. L'uomo ha sempre cercato il rimedio al terrore
davanti al dolore e alla morte. Lo ha cercato con il mito, la
poesia e la religione e proprio in questo contesto ha
approfondito il pensiero di Eschilo ma anche di Giacomo
Leopardi.
Riproduzione riservata © Copyright ANSA