di Germana D'Orazio
(ANSA) - PESCARA, 23 AGO - "Il mio libro sarebbe piaciuto a
Silone e Flaiano, ma anche a John Fante (ma, lo dico sottovoce,
anche a Pasolini). Perché sono abruzzesi, non come D'Annunzio o
Croce, che a Pescasseroli c'è stato un mese quando è nato e poi
se ne è andato a Napoli, perché Benedetto Croce è napoletano…
D'Annunzio poi, noi scontiamo in Abruzzo questo 'bisogno' di
creare personaggi a tutti i costi, piazze, vie, scuole.
D'Annunzio abruzzese? Mah. Liborio invece è un personaggio che
può stare benissimo nella Confraternita dell'Uva di Fante.
Perché lui 'scrive' come parla, perché il suo dialetto viene da
una periferia esistenziale, perché questo linguaggio dal basso
serve alla costruzione di un'anima: quella di un 'folle' che
attraversa come l'Ippolit di Dostoewskij il 900,
dall'emigrazione al nord, le lotte politiche e sindacali, al
ritorno a casa. E perché usa il dialettto? Beh, qui anche perché
il mio è un romanzo politico in senso lato, perché le classi
colte hanno abolito il linguaggio 'basso', perché il dialetto o
quell'italiano alla Fenoglio, alla Gadda (ma anche alla Niffoi),
permette a tutti di esprimere un idea alta, non solo a chi ha
una cultura, a chi ha letto un milione di libri. Certo, è un
romanzo contro la globalizzazione, che si ribella, è abruzzese
ma potrebbe essere piemontese o modenese. 'Ci siamo anche noi',
grida, quel vecchio matto di Liborio, che è simbolico, che è
tutti i perdenti del mondo. E che può fare l'io in queste
condizioni? Può usare solo la lingua dell'anima, che è dialetto
in senso intimo, e che a me è servito per dare corpo alla
storia, perché sia chiaro: è più difficile trovare la storia che
il linguaggio, poi è anche evidente che questa lingua di Liborio
Bonfiglio serve per raccontare 'quella' storia senza
macchiettismi o folclore. Un po' Don Quichote un po' Forrest
Gump. E io parlo della Rivolta di Lanciano dell'ottobre 1943,
quel grandioso 'vento del sud', della Fiom, del suo lavoro in
fabbrica quando chiede al caporeparto 'ma con tutti questi pezzi
che io fabbrico, che ci fate? A chi li date?', e di Hermes
Venturi, persona che ho conosciuto da militare negli anni 70 e
che nel romanzo frequenta negli anni 50 le case chiuse, ma è
pura invenzione. Solo che questo Hermes ha letto il romanzo, mi
ha rintracciato e mi ha supplicato di dire alla moglie, al
telefono 'diglielo tu per favore che non sono un puttaniere'. Io
alla moglie gliel'ho spergiurato, ma quando mi ha ripassato il
telefono mi ha chiesto quasi in ginocchio 'per favore, vieni di
persona a dirglielo, perchè non ci ha creduto'". Remo Rapino,
ieri 69 anni, ex professore di filosofia di Lanciano, star
straripante, fiume in piena, irrefrenabile, tra i casi letterari
dell'anno, finalista al Campiello e di altri numerosi premi
letterati con il romanzo 'Vita, morte e miracoli di Bonfiglio
Liborio', Minimum Fax (e svariate ristampe in corso), così al
Premio John Fante di Torricella Peligna stracolmo di gente in
sicurezza covid. E una signora benvestita e compita a fine
serata sfoglia il libro e legge. "E scì, noi a la casa, parleme
proprio così". (ANSA).