L'Avvocatura dello Stato ha chiesto l'assoluzione o "perché il fatto non sussiste" o "perché il fatto non costituisce reato" per i 7 componenti della Commissione Grandi Rischi, condannati in primo grado a 6 anni con l'accusa di aver fornito false rassicurazioni alla popolazione cinque giorni prima del sisma del 2009.
Per i sette imputati, tutti scienziati ed ex vertici della Protezione Civile, il procuratore generale Romolo Como ha chiesto la conferma della pena di primo grado. A rappresentare l'Avvocatura dello Stato Carlo Sica e Massimo Giannuzzi. "Nessuno ha detto: state tranquilli perché non ci sarà un terremoto - spiega l'avvocato Sica -. E se anche fosse stato detto, manca il passo successivo, ossia non c'è stata la comunicazione alla popolazione". In aula presenti gli imputati De Bernardinis, Boschi, Selvaggi, Eva.
"C'è stato un corto circuito mediatico con le dichiarazioni di De Bernardinis prima della riunione inserite in un articolo sul post-riunione". Con questa dichiarazione fatta in udienza l'avvocato dello Stato Massimo Giannuzzi ha attribuito agli organi di informazione le responsabilità sulla rassicurazione dei cittadini dopo la riunione della Commissione Grandi rischi del 31 marzo 2009. "Non esiste un nesso causale tra l'esito della riunione e il comportamento delle persone perché la riunione e i suoi contenuti erano privati, non pubblici" ha spiegato il legale dello Stato durante la terza udienza del processo di Appello alla Commissione Grandi Rischi, i cui sette esperti sono stati condannati in primo grado a sei anni di reclusione per aver dato false rassicurazioni alla popolazione al termine della riunione all'Aquila del 31 marzo 2009, cinque giorni prima del terremoto che ha causato la morte di 309 persone e devastato il capoluogo abruzzese.
L'avvocato dello Stato Carlo Sica, nel corso dell'udienza del processo di Appello alla Commissione grandi rischi ha ricalcato alcuni argomenti di cui aveva parlato due anni fa nell'arringa al processo di primo grado. "Il dolore non può essere dimenticato ma non sono d'accordo con la causa di quel dolore - ha detto -. La causa di quelle morti è una causa fatale, il terremoto non è prevedibile". Sica ha poi sottolineato l'impegno dello Stato nella ricostruzione post-sisma del capoluogo abruzzese. "Lo Stato si sta impegnando per la ricostruzione dell'Aquila, nei prossimi sei anni arriveranno molti fondi in questa città".
"Questo processo non ci sarebbe stato se questi professori della scienza infusa, come sono stati definiti, non avessero gettato fango su una persona, su un ricercatore che da anni lavorava su un progetto che in quel momento dava l'allarme". Così Giampaolo Giuliani, il tecnico di ricerca che studia il radon in relazione alla possibilità di prevedere i terremoti, ha detto a margine della terza udienza del processo d'Appello alla Commissione Grandi Rischi, in corso all'Aquila. Giuliani è in aula ad assistere insieme ad altri aquilani, molti dei quali famigliari delle 309 vittime. E secondo lui "gli interventi degli avvocati dello Stato offendono lo Stato, ma soprattutto la dignità delle vittime e i sopravvissuti".
Giuliani salì agli onori della cronaca per i suoi modelli di previsione delle scosse sismiche non ritenuti, però, affidabili da gran parte della comunità scientifica. Secondo l'accusa e le parti civili fu proprio quel sistema di previsione, basato sull'osservazione del radon, conosciuto anche da gente comune e al centro dell'attenzione nei giorni immediatamente precedenti il sisma del 6 aprile, a spingere la Protezione Civile a convocare la riunione della Grandi Rischi all'Aquila - quindi per la prima volta nella storia non a Roma - per mettere a tacere "un imbecille", come Guido Bertolaso definisce Giuliani in un'intercettazione. Bertolaso, allora capo della Protezione Civile, è indagato in un filone parallelo del processo alla Commissione. Giuliani ha ricordato poi la vicenda della previsione di una scossa a Sulmona una settimana prima del sisma dell'Aquila, fatto per il quale fu denunciato per procurato allarme dall'allora sindaco di Sulmona Fabio Federico. "Non ci sarebbe stato questo processo se non avessero detto bugie sul fatto che io avevo previsto il terremoto a Sulmona e non all'Aquila. Questa è una bugia data ad arte e ancora oggi nel mondo si è convinti di ciò. La malafede di Bertolaso e Boschi nell'indirizzare il sindaco di Sulmona a fare una denuncia e a farmi finire sotto inchiesta ha fatto sì che una settimana dopo io non abbia potuto avvisare tutti gli aquilani e molte persone che poi sono morte. Ne ho salvate oltre 350 tra L'Aquila, Poggio Picenze e Paganica dicendo loro 'fate conto di essere in campeggio e passate la notte fuori casa'. E ci sono le prove dei messaggi".
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