(ANSA) - PESCARA, 26 FEB - "Il 7 marzo 1971 piazza Duomo a
L'Aquila era piena di bandiere rosse del PCI e Pietro Ingrao
parlava a migliaia di comunisti e cittadini accorsi da tutto
l'Abruzzo per rispondere al vile attentato alla democrazia
compiuto tra il 26 e il 28 febbraio a L'Aquila con la
devastazione delle sedi dei partiti democratici, escluso il MSI,
il cui unico consigliere aveva contrastato la ipotesi unitaria
del capoluogo regionale a L'Aquila e la suddivisione degli
assessorati regionali tra Pescara e L'Aquila". E' questo il
ricordo di Gianni Melilla, ex parlamentare e presidente emerito
del Consiglio Regionale, in merito all'episodio forse più
clamoroso della rivolta aquilana, l'assedio e la devastazione
della sede del Pci in via Paganica.
Per Melilla "Le forze democratiche dal secondo dopoguerra non
avevano mai subito la devastazione della propria sede
provinciale. Queste cose succedevano solo negli anni 20 quando i
fascisti incendiavano e distruggevano le sedi socialiste,
comuniste e sindacali. Il PCI ne fu particolarmente
traumatizzato. Bisogna tornare al 1946 quando la sede della
federazione del PCI di Napoli venne assediata da fascisti e
monarchici che vennero però respinti dai comunisti che risposero
al fuoco senza paura. Si racconta che Pajetta, al telefono con
un autorevole comunista aquilano che lo informava della
devastazione della federazione aquilana, chiese con rabbia :
"Quanti morti e quanti feriti?".
"Non poteva essere tollerato da chi aveva subito qualche
decennio prima il carcere e il confino e che aveva guidato la
lotta armata contro i nazi-fascisti, che nel 1971 si potesse
assistere al dramma democratico delle sedi dei partiti
incendiate. Per questo il PCI decise di reagire subito con la
mobilitazione popolare e antifascista. Del resto in Italia in
quei mesi lo slogan più gridato nelle manifestazioni dei missini
era "L'Aquila, Reggio a Roma sarà peggio". Naturalmente nella
rivolta di Reggio Calabria il ruolo dei missini del "Boia chi
molla" era molto più marcato ed eversivo. E anche lì ci volle
una grande manifestazione nazionale organizzata dai
metalmeccanici, dagli edili e dai braccianti per stroncare la
rivolta. In quel caso i fascisti misero addirittura le bombe sui
binari dei treni per impedire l'arrivo dei treni dei lavoratori
dal nord Italia - insiste Melilla - Ma a L'Aquila le cose
andarono per fortuna molto diversamente. La manifestazione del 7
marzo fu imponente e chiuse definitivamente quella breve
stagione di violenza politica che aveva visto debordare dal
terreno democratico le forze che soffiavano sul fuoco del
campanilismo tra Pescara e L'Aquila, tra la costa e la
montagna". (ANSA).
Moti aquilani: Melilla, assalto a Pci unico nel dopoguerra
Ex presidente Consiglio, roba da anni '20. risposta fu forte