(ANSA) - CHIETI, 22 GIU - Fu fatto prigioniero dai tedeschi
a Milano, deportato in Germania nel settembre del 1943 e
costretto a lavorare in una fabbrica che produceva 60 carri
armati al giorno. E per mangiare raccoglieva bucce di patate.
"Fu un'esperienza tutta negativa, lavorare era uno svago
perché una volta uscito dal lavoro era una schiavitù, un incubo
da vivere attimo per attimo" - ha detto all'Ansa Tonino Di Pillo
ricordando quella parentesi della vita di suo padre. "Raccontava
sempre che per mangiare qualcosa, raccattava dentro un bidone
immenso di bucce di patate e immondizie varie, e lui ci si
buttava dentro. In Germania viveva dentro le baracche, dove non
si potevano lavare perché non c'era modo di farlo, se non ogni
tanto, se non quando una volta a settimana o 15 giorni, nudi, li
lavavano i tedeschi con gli idranti". La deportazione terminò
l'8 maggio 1945.
"Tornando in treno, su un carro bestiame, arrivato fra Pescara
e Francavilla al Mare riconobbe i luoghi, si rese conto che era
ormai vicino a casa, e giunto fra la stazione di Tollo e la
stazione di Ortona, si buttò dal treno rompendosi una gamba -
prosegue Tonino Di Pillo. Nonostante tutto riuscì ad arrivare a
casa: un giovane di 24 anni pesava 38 chili - dice il figlio - ,
e appena sceso dal treno mangiò tutti i fichi di una intera
pianta per potersi rifocillare e arrivare a stento a casa".
Secondo di dieci figli, una volta rientrato a Tollo Vincenzo Di
Pillo ha fatto l'agricoltore, ma l'esperienza della deportazione
lo ha segnato per sempre. "Ogni volta che c'era in televisione
un film con le SS, lui non lo vedeva - racconta ancora -. Diceva
sempre a me e mia sorella: cambiate canale sennò me ne vado a
dormire. È morto sette anni fa". (ANSA).
Storie di Imi, soldato Di Pillo nella fabbrica carri armati
Prefetto Chieti premia figli prigioniero con Medaglia Onore