(ANSA) - SULMONA, 29 NOV - Uno studio condotto dai ricercatori del Dipartimento di Ingegneria dell'Energia dell'Università La Sapienza di Roma sottolinea come i grandi investimenti in impianti e infrastrutture del gas potrebbero diventare "stranded assets" (investimenti non remunerativi) e ritardare e ostacolare la diffusione delle tecnologie rinnovabili. A segnalarlo sono i Comitati cittadini per l'ambiente - Coordinamento No Hub del Gas che si battono contro la realizzazione del metanodotto Sulmona-Foligno ritenuto "strategico" dal governo e non confliggente "in alcun modo con i principi della ecosostenibilità e della tutela ambientale".
Lo studio cui si fa riferimento è stato pubblicato sulla rivista internazionale Journal of Cleaner Production e dimostra che, sotto ogni punto di vista, è più conveniente abbandonare da subito le fonti fossili puntando invece sulle rinnovabili e sulla efficienza energetica. Lo studio è stato ripreso dall'edizione italiana di Nature: i nuovi gasdotti e gli impianti di rigassificazione, scrivono gli autori, rappresentano un "investimento a lungo termine che contraddice la necessità di una rapida decarbonizzazione dei sistemi energetici" e possono "sottrarre capitale agli investimenti in tecnologie verdi".
Inoltre, l'implementazione del gas rappresenta una "barriera per il processo di transizione verso le energie rinnovabili e i sistemi energetici sostenibili".
Secondo lo studio dell'Università La Sapienza l'investimento di 80 miliardi di euro nel settore delle rinnovabili creerebbe 640 mila posti di lavoro temporanei e 30 mila posti permanenti per il funzionamento, la manutenzione e la produzione. Tali misure consentirebbero di ridurre le emissioni annuali del sistema energetico italiano di 21,5 megatonnellate di C02. Tutto ciò avrebbe l'effetto di "migliorare l'indipendenza energetica e rendere meno soggetti all'alta volatilità dei prezzi del gas. E questo in particolare in Paesi come l'Italia, il cui sistema energetico è largamente basato sulle importazioni di gas".
"Ma a smentire il governo - proseguono i Comitati cittadini per l'ambiente-Coordinamento No Hub del Gas - non è solo la scienza: dati facilmente consultabili attestano che il 22 novembre scorso Terna, l'operatore che gestisce la rete di trasmissione elettrica nazionale, ha annunciato che sono state presentate richieste di connessione alla rete per circa 300 Gigawatt di nuova potenza rinnovabile".
"Se tutte queste richieste ottenessero le relative autorizzazioni - spiegano in una nota - l'Italia disporrebbe di una capacità elettrica 4 volte superiore a quella necessaria per raggiungere i suoi target verdi al 2030 (70 GW di rinnovabili).
Terna ha anche reso noto che nei mesi scorsi ha provveduto a rilasciare la soluzione di connessione a circa 22 GW di nuove iniziative di eolico offshore e che entro l'anno in corso si arriverà a rilasciare altri 73 GW, per un totale di 95 GW".
"Dal canto suo l'associazione Elettricità Futura, aderente a Confindustria e che rappresenta oltre il 70% del mercato elettrico - si legge ancora nella nota -, ha calcolato che installare 60 GW di nuovi impianti di rinnovabili farebbe risparmiare 15 miliardi di metri cubi di gas ed inoltre, per i consumatori, significherebbe risparmiare 21 miliardi di euro l'anno in bolletta".
"Questo significa che nel 2027 quando, secondo le previsioni, il nuovo metanodotto Sulmona-Foligno entrerà in funzione, l'Italia avrà ridotto sensibilmente il fabbisogno di gas; ma gli italiani saranno costretti a pagare in bolletta fino al 2077 il costo di ammortamento di una infrastruttura (gasdotto e centrale) già oggi del tutto inutile, essendo di almeno 50 anni la vita dei due impianti.
Secondo i Comitati "ancora una volta, a prescindere dai governi che si alternano, sentiamo definire 'strategica' un'opera inutile e ripetere che essa va realizzata: la centrale di Sulmona e il metanodotto Linea Adriatica sono 'strategici', ma non per il nostro Paese, bensì per i profitti della Snam e dell'Eni, alle quali il governo diligentemente tiene il sacco". (ANSA).