La capacità delle foreste tropicali di assorbire CO2 dall’atmosfera è in declino, rivela lo studio “Asynchronous carbon sink saturation in African and Amazonian tropical forests”, pubblicato il 4 marzo sulla rivista scientifica Nature. Un team di ricercatori di un centinaio di istituzioni scientifiche di tutto il mondo, guidato dall’Università di Leeds, ha analizzato i dati di accrescimento e mortalità di 300mila alberi, in 565 foreste tropicali in Africa e in Amazzonia, tracciati per oltre 30 anni. I risultati hanno evidenziato “una preoccupante tendenza al ribasso” del carbon sink (cioè della capacità di assorbimento di carbonio) delle foreste tropicali intatte, quelle cioè non disturbate dal disboscamento e dagli incendi, dovuto soprattutto alla mortalità degli alberi.
L’autore principale dello studio, Wannes Hubau, ha dichiarato che “il picco di assorbimento di carbonio nelle foreste tropicali intatte si è verificato negli anni ’90. Combinando i dati provenienti dall'Africa e dall'Amazzonia, abbiamo iniziato a capire perché queste foreste stanno cambiando, con livelli di anidride carbonica, temperatura, siccità e dinamiche forestali fondamentali. L'anidride carbonica extra stimola la crescita degli alberi, ma ogni anno questo effetto viene sempre più contrastato dagli impatti negativi delle temperature più alte e della siccità che rallentano la crescita e possono uccidere gli alberi”, ha concluso Hubau.
Negli anni ’90, riporta lo studio, le foreste tropicali hanno rimosso dall’atmosfera circa 46 miliardi di tonnellate di anidride carbonica. Questa cifra rappresenta circa il 17% di tutte le emissioni di CO2 generate dall’uomo in quel momento. Nel 2010 la capacità media di una foresta tropicale di assorbire anidride carbonica era diminuita di un terzo, scendendo a circa 25 miliardi di tonnellate (solo il 6% delle emissioni di CO2). La perdita di capacità di assorbimento rispetto agli anni ’90 è dunque pari a 21 miliardi di tonnellate, equivalenti, rileva lo studio, “a un decennio di emissioni di combustibili fossili provenienti da Regno Unito, Germania, Francia e Canada messe insieme”.
Simon Lewis, autore senior della School of geography di Leeds, ha affermato: “Le foreste tropicali intatte rimangono una fonte vitale di assorbimento di carbonio, ma questa ricerca rivela che, se non vengono messe in atto politiche per stabilizzare il clima terrestre, è solo questione di tempo e non saranno più in grado di farlo”.
Il 3 gennaio scorso sul sito di informazione climalteranti.it è stato pubblicato un articolo dal titolo “Le foreste ci salveranno?” firmato da Giacomo Grassi, Giorgio Vacchiano e Marina Vitullo, tre membri del comitato scientifico del sito. Gli autori citano un’intervista allo scienziato Stefano Mancuso apparsa il 19 dicembre sul Corriere della Sera, nella quale si rilancia uno studio dell’Eth di Zurigo e si afferma che “basterebbero 900 milioni di ettari di nuove foreste per ridurre di due terzi l’attuale livello di gas serra. È la superficie degli Stati Uniti: sarebbe una soluzione praticabile e reale”.
Grassi, Vacchiano e Vitullo si domandano allora: “Basta piantare alberi per affrontare la crisi climatica”? La risposta è tagliente: “Lo studio di Bastin sul potenziale del ripristino delle foreste offre informazioni nuove. In parte accompagnato da dati troppo ottimisti, in parte mal comunicato dagli autori, in parte mal interpretato dai media, questo studio appare una spada a doppio taglio: usata come efficace marketing della riforestazione ma a volte abusato da chi è incline (o interessato) a diffondere soluzioni semplicistiche”.
Questa la conclusione degli autori: “le foreste sono essenziali ad affrontare l’emergenza climatica ma da sole non possono fare tutto. Una rapida e drastica riduzione di emissioni da combustibili fossili resta assolutamente imprescindibile”.
di Andrea De Tommasi
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