Comprendere le sfide e le prospettive che il sistema agroalimentare italiano dovrà affrontare a seguito della pandemia. Questo l’obiettivo del rapporto “Scenari e prospettive delle imprese agroalimentari fra sostenibilità e innovazione”, pubblicato dal Santa Chiara Lab dell’Università di Siena, che presenta i risultati del sondaggio lanciato nella primavera del 2020 a cui hanno risposto 60 aziende italiane e 60 esperti del settore (accademici, ricercatori di istituzioni pubbliche ed enti di ricerca). L’indagine è stata effettuata con la partecipazione di Anga, Enea, Padiglione Italiano Dubai e con il patrocinio dell’ASviS, nell’ambito del Progetto di ricerca “Fixing the business of food”, svolto da Un Sdsn, Columbia University, Fondazione Barilla Center for food and nutrition e Santa Chiara Lab.
“Il sistema Agrifood italiano del futuro dovrà affrontare delle trasformazioni profonde che non possono prescindere dal forte legame con i principi della sostenibilità e dell’innovazione, tecnologica ed organizzativa. Con questo lavoro abbiamo cercato di capire come gli imprenditori e gli esperti del settore vedono il futuro del comparto con l’auspicio di poter contribuire a un dibattito quanto più ampio e articolato possibile”, ha sottolineato Angelo Riccaboni, presidente del Santa Chiara Lab, nell’introduzione del documento.
Nella prima sezione del questionario, dal titolo “Sistemi e società agroalimentari”, è emerso che le limitazioni alla mobilità della forza lavoro temporanea avranno un impatto negativo sulla produzione. Le risposte “d’accordo” e “completamente d’accordo” per gli esperti arrivano al 77,4%, per le imprese al 60,6%. Ampio consenso sull’affermazione relativa al bisogno di politiche internazionali per costruire una governance più ampia e controlli più efficaci sulla produzione sostenibile di alimenti. Le imprese sono all’86,9% “completamente d’accordo” e “d’accordo” e le aziende invece all’ 85,5%. La sicurezza alimentare e l’autosufficienza regionale e nazionale saranno centrali: qui le risposte positive degli esperti arrivano al 77,4%, quelle delle imprese al 68.8%. Per il futuro serviranno approcci innovativi per garantire l’approvvigionamento alimentare ai gruppi più vulnerabili; qui le percentuali vedono un 86% delle imprese e un 90,3% degli esperti. Non c’è unanimità di visione sul fatto che le filiere agroalimentari diventeranno più corte. Le risposte “d’accordo” e “completamente d’accordo” vedono un 55,7% per le aziende e un 51,7% per gli esperti. Mancata convergenza anche sull’affermazione relativa all’aumento della volatilità dei prezzi delle materie agricole (insieme “completamente d’accordo” e “d’accordo” sono al 67% per gli esperti e al 52,5% per gli imprenditori).
Nella seconda sezione, “Business”, appare chiaro che l’innovazione, sia tecnologica (agricoltura 4.0, Intelligenza Artificiale) sia organizzativa (nuovi modelli di business, aggregazioni, partnership), sarà un fattore determinante per l’agrifood italiano. In questo caso, aziende ed esperti sono “d’accordo” o “completamente d’accordo” con percentuali molto elevate (74,2% per gli esperti, 72,2% per le aziende). Ed è altrettanto evidente come il ricorso all’e-commerce semplificherà le catene del valore e porterà ad un aumento delle vendite digitali (82,2% per gli esperti e 67,2% per le aziende). Analizzando i problemi finanziari emerge che i piccoli produttori agricoli andranno incontro a maggiori difficoltà. In questo caso le risposte dei produttori che sono “completamente d’accordo” e “d’accordo” raggiungono l’83,6% rispetto al 69,4% di quelle degli esperti. Per quanto riguarda l’affermazione relativa ai problemi finanziari per le grandi aziende, l’11,3% degli esperti è “d’accordo”, mentre il 29,5% delle aziende è “completamente d’accordo” e “d’accordo”. Appare chiaro che la gestione del rischio sarà una priorità. La somma dei valori “completamente d’accordo” e “d’accordo” per le aziende arriva al 78,7%, per le imprese al 75,8%. Sull’affermazione relativa al fatto che lo scenario post Covid porterà le aziende a prestare meno attenzione all’Agenda 2030 le risposte sono divergenti. Le risposte delle imprese sul “completamente d’accordo” e “d’accordo” danno il 19,6%; il 32,8% risponde che non è “né in accordo né in disaccordo” e il 47,5% risponde “non sono d’accordo” e “non sono per niente d’accordo”. Gli esperti invece rispondono al 38,8% che sono “completamente d’accordo” e “d’accordo”; 33,9% “né in accordo né in disaccordo”; il 27,4% risponde che “non sono d’accordo” e “non sono per niente d’accordo”.
Nella terza sezione “Consumatori” le imprese affermano che i cittadini presteranno maggiore attenzione agli alimenti prodotti in modo sostenibile e ugualmente ai cibi nutrienti e sani. Gli esperti invece sono meno sicuri di queste affermazioni. Infatti le risposte delle aziende su cibi prodotti in modo sostenibile vedono un 70,4% di “completamente d’accordo” e “d’accordo”; gli esperti sommando le stesse risposte si fermano al 40%. L’affermazione che i consumatori daranno maggiore attenzione alla rigorosa tracciabilità di input e processi produttivi e logistica vede le aziende “completamente d’accordo” e “d’accordo” al 67,2% e gli esperti al 54,9%. L’affermazione relativa alla centralità della dieta mediterranea vede le aziende “completamente d’accordo” e “d’accordo” al 59% mentre per gli esperti si fermano al 33,9%. Sull’attenzione ai cibi nutrienti gli imprenditori sono al 67,2% di risposte positive; mentre gli esperti si fermano al 46,8%. Anche per quanto riguarda l’affermazione relativa al prezzo come fattore a cui i consumatori daranno maggiore attenzione ci sono differenze nelle risposte tra esperti e aziende. Le risposte degli esperti per il 64% sono nettamente concordi nel ritenere che la crisi economica porterà i consumatori a guardare al prezzo del cibo. Le aziende invece si polarizzano tra un 54% che vede questo fattore come fondamentale e un 37,7% che invece non è “né in accordo né in disaccordo”.
Il Rapporto contiene anche una sintesi del dibattito online organizzato dal Santa Chiara Lab il 22 luglio. “Abbiamo bisogno di accompagnare la transizione ecologica di tutte le nostre imprese, senza lasciare fuori nessuno; la ricerca, lo sviluppo di soluzioni innovative devono mettere al centro le esigenze e le richieste delle aziende”, ha dichiarato la ministra per le Politiche agricole Teresa Bellanova intervenuta all’evento.
Paolo Glisenti, Commissario generale per l’Italia a Expo 2020 Dubai, ha sottolineato che l’Esposizione Universale sarà un’occasione fondamentale “per riaffermare punti chiave che vanno dalla multidisciplinarietà delle competenze sviluppate nelle filiere agricole fino all’innovazione, tema che segnerà trasversalmente tutto il dibattito nelle iniziative in programma nel corso del semestre espositivo”.
Giorgio Dell’Orefice del Sole 24 Ore - Radiocor ha detto che il settore alimentare ha retto l’onda del Covid-19, ma ora è tempo di gettare le basi per ripartire, puntando sulla leva dell’innovazione: “Innovazione dei processi, dei prodotti e perché no anche dei mercati, dei canali distributivi, nella logistica e nel marketing. Innovazione come chiave per dare contenuti nuovi al concetto di qualità, che da sempre è il prerequisito del made in Italy agroalimentare”.
Massimo Iannetta di Enea ha evidenziato che le parole d’ordine per il futuro delle imprese alimentari non possono che essere sostenibilità, qualità e tracciabilità, “con un visione orientata al concetto di One Health, per tenere insieme la salute del Pianeta con quella dell’uomo”.
Marta Antonelli, direttore Ricerca Fondazione Barilla, ha lamentato che la pandemia da Covid-19 ha esacerbato le fragilità dei sistemi alimentari. Sul lato della produzione, le restrizioni commerciali hanno acuito la dipendenza e la vulnerabilità di quei Paesi maggiormente dipendenti dalle importazioni di cibo. Sul lato della domanda, la chiusura di scuole, mercati e strutture di assistenza ha accresciuto i problemi di accesso a cibo sano e nutriente da parte dei gruppi più vulnerabili (poveri, anziani e bambini).
Paola De Bernardi dell’Università di Torino ha insistito sulla necessità di passare da un consumo di massa lineare a un’economia agroalimentare circolare. “Ciò significa cambiare la cultura del cibo, nei vari processi con i quali il prodotto agroalimentare dalla terra arriva al consumatore. Il coinvolgimento dell’intera filiera del food system è chiaramente esplicitato nelle recenti strategie europee ‘Farm to fork’ e ‘Green deal’, di cui il ‘Circular action plan’ è uno dei principali pilastri”.
Per Francesco Mastrandrea, dei Giovani di Confagricoltura (Anga), “gli agricoltori hanno compreso sempre di più nel periodo pandemico quanto l’innovazione tecnologica sia fondamentale per la propria azienda sia in fase di produzione che in fase di commercializzazione, anche e soprattutto a causa della mutazione della domanda collegata al lockdown”.
Rosanna Zari di Agronoma ha messo l’accento sull’aumento della povertà e la diminuzione delle persone che avranno accesso al cibo, soprattutto quello costoso. “In futuro avremo bisogno di maggiori produzioni di cibo di buona qualità e proprietà nutritive differenziate a basso costo riducendo i consumi dei nostri fattori di produzione: suolo, aria, acqua e energia. In sostanza dovremo seguire il modello ‘More from less’, che peraltro è un modello già attivo e che sta funzionando, ci sono già degli esempi che vanno in questa direzione”.
Cristina Smurra dell’azienda agricola BioSmurra ha auspicato un altro modello di sviluppo e un’altra economia, eco-sostenibile ed alternativa. “Cibo sano, qualità della vita, educazione alimentare, salvaguardia dell’ambiente, benessere animale, filiera corta, ritorno alla terra, diritto alla salute e valore delle relazioni umane sono algoritmi di uno stesso processo”.
di Andrea De Tommasi
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