Come per tutte le Conferenze delle parti sui cambiamenti climatici delle Nazioni unite (Cop), anche quella di Glasgow, che si è conclusa nella serata di sabato 13 novembre, aveva importanti temi negoziali di cui discutere. Alla fine le delegazioni sono riuscite a completare il “Paris rulebook”, il libro delle regole che l’Accordo quadro sul cambiamento climatico di Parigi aveva messo in piedi. Sui media ha tenuto banco soprattutto la questione legata al carbone, dove l’India (con l’appoggio silenzioso di Cina e Australia) negli ultimi minuti è riuscita a far sostituire nel “Patto per il clima di Glasgow” la parola “fine” (phase out) a “progressiva riduzione” (phase down) - e lo stesso discorso vale per i sussidi ai combustibili fossili. Nel testo però si segnalano alcuni passaggi importanti, come l’inserimento di una riduzione del 45% delle emissioni di CO2 entro il 2030 (rispetto al 2010), uno step che potrebbe aiutare nel mantenere l’aumento medio della temperatura globale entro 1,5°C (limite invalicabile consigliato dalla comunità scientifica per evitare i più gravi disastri imposti dalla crisi climatica e che dovrebbe agevolare l’azione di adattamento).
Sono decine i testi approvati durante il summit; sul tavolo negoziale c’erano tanti e diversi argomenti spinosi, che le Parti si portavano dietro da tempo. Parliamo di Ndcs (impegni volontari di riduzione delle emissioni), finanza climatica, danni e perdite (loss and damage) che i Paesi subiscono, trasparenza, mercato del carbonio e adattamento. Vediamo, in breve, cosa è stato stabilito.
Ndcs - A Glasgow si è stabilito che, a partire dal 2025, i Paesi avranno impegni comuni di riduzione delle emissioni su un periodo di 10 anni (che comunicheranno ogni cinque), in modo da essere anche confrontabili tra loro. Dato che però non tutti erano d’accordo, è possibile presentare i propri impegni anche dal 2030. Inoltre, gli Stati che fino a ora non hanno aggiornato i propri Ndcs dovranno farlo entro la Cop 27 (Egitto).
Finanza climatica – Nonostante la decisione di destinare 100 miliardi di dollari ogni anno ai Paesi in via di sviluppo con il Green climate fund per aiutarli a progredire grazie a tecnologie a basso impatto climatico fosse stata presa durante la Cop del 2009 a Copenaghen, e poi riproposta nell’Accordo di Parigi, anche da Glasgow si esce senza nulla di chiaro in merito. La discussione è stata ancora rinviata a vertici ad hoc che si dovranno tenere tra il 2022 e il 2024 attraverso quattro riunioni annuali.
Loss and damage – Si tratta di un tema connesso a quello della finanza climatica. In pratica i Paesi che sono meno colpevoli del riscaldamento globale hanno bisogno di un aiuto finanziario da quelli industrializzati per far fronte ai disastri della crisi climatica (tema particolarmente caro alle piccole isole che rischiano letteralmente di scomparire). Anche qui, Glasgow ha solo prolungato i tempi della discussione ma nulla è stato deciso.
Adattamento – Sono stati raddoppiati i fondi internazionali per una misura che i Paesi vulnerabili ritengono fondamentale, della stessa importanza dell’attività di mitigazione. Attraverso un programma dedicato, sarà monitorata l’implementazione delle attività di adattamento nei diversi Paesi.
Trasparenza – È stato adottato un nuovo metodo di reportistica, fondamentale per fare in modo che i Paesi utilizzino le stesse metriche per rendicontare le proprie emissioni gas serra. Si parte dal 2024, nessun Paese potrà omettere dei dati ma avrà la possibilità di fornire spiegazioni nel caso non fosse pronto a trasmettere determinati parametri.
Mercato del carbonio – Sono state prese decisioni per capire come rendere operativo un nuovo mercato globale del carbonio. Le parti hanno discusso di come inserire i diritti umani all’interno dei meccanismi di mercato e su come affrontare il problema del “doppio conteggio”, in base al quale la riduzione delle emissioni viene conteggiata sia dal Paese che ha acquistato il credito, sia dal Paese in cui è avvenuta l’effettiva riduzione delle emissioni.
Va inoltre ricordato che a margine della Conferenza ci sono stati diversi impegni, di tipo bilaterale e multilaterale, che i Paesi hanno assunto. Di seguito alcuni dei più rilevanti.
Accordo tra Cina e Usa – Entrambe le Parti (parliamo dei due Paesi che emettono più gas serra al mondo) riconoscono che c’è un divario tra fatti e parole per tenere sotto controllo il riscaldamento globale. Cina e Usa intendono cooperare nei prossimi mesi attraverso l’istituzione di un tavolo congiunto per il rispetto dell’Accordo di Parigi. Nel documento si legge che i due Paesi coopereranno per “massimizzare i benefici sociali della transizione verso l'energia pulita”, su “politiche per incoraggiare la decarbonizzazione”, su “aree chiave legate all'economia circolare”, per implementare nuove tecnologie di stoccaggio della CO2. Inoltre le due Nazioni puntano a mitigare gli effetti sul riscaldamento globale da parte delle fuoriuscite di metano.
Global Methane Pledge - Firmato da oltre 100 Paesi, si tratta di un impegno volto a ridurre collettivamente le emissioni globali di metano del 30% entro il 2030 rispetto ai livelli del 2020. Lanciato da Stati uniti e Unione europea, il documento è stato firmato anche dall’Italia.
Dichiarazione di Glasgow sulle foreste – Oltre 140 Paesi, che rappresentano l’85% delle foreste nel mondo, hanno firmato questo impegno che mira a invertire il trend negativo della deforestazione entro il 2030. I Paesi intendono mettere a disposizione 16,5 miliardi di euro (10 miliardi pubblici) per raggiungere l’obiettivo, il documento è stato sottoscritto anche da Ue, Usa, Cina e Brasile.
Boga – Fine dell’era dei combustili fossili – La costituzione della Beyond oil and gas alliance è stata uno dei più significativi annunci che sono arrivati da Glasgow. La coalizione intende elevare l’ambizione per procedere all’eliminazione di petrolio e gas dal mix energetico dei Paesi. L’iniziativa, presieduta da Danimarca e Costa Rica, è stata sottoscritta al momento solo da 11 Parti (non solo Nazioni, è presente per esempio anche la California). È possibile prendere parte come “Core member”, dove ci si impegna a non concedere più concessioni per le attività di produzione ed esplorazione di petrolio e gas; “Associate member”, per impegnarsi a tagliare i sussidi rivolti a gas e petrolio (sia all’estero sia sul territorio nazionale); “Friend”, al fine di allineare l’uso di gas e petrolio per rispettare l’Accordo di Parigi. L’Italia è presente nella lista dei firmatari, ma è al momento l’unica Nazione ad aver aderito alla modalità “Friend”, quella con il livello di ambizione più basso.
Infine, è da sottolineare il fatto che Cop 26 è stata la Conferenza sul clima più politica dai tempi di Parigi. Glasgow potrebbe aver inaugurato una nuova era del multilateralismo, soprattutto se facciamo riferimento al ruolo giocato dagli Stati uniti che sotto la precedente amministrazione erano usciti dal Paris agreement.
di Ivan Manzo
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