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Il futuro dell’Europa sostenibile si gioca nelle elezioni del 2024

Redazione Ansa

di Donato Speroni

Sapevamo che non sarebbe stata una passeggiata o una cena di gala, ma nelle ultime settimane i temi della transizione ecologica si sono imposti, in Italia e in Europa, con tutta la loro forza dirompente e la loro capacità di creare divisioni. Man mano che si avverte l’urgenza e l’importanza delle questioni legate alla sopravvivenza di una umanità composta da oltre otto miliardi di individui su un pianeta dalle risorse limitate, si scopre che ogni scelta che produce opportunità future oggi ha un costo, colpisce certi gruppi sociali magari favorendone altri, può essere gestita con strategie diverse, più o meno valide, ma sulla cui efficacia si scontrano imprese, politici, gruppi di pressione, tutti con i loro comunicatori.

Abbattimento delle emissioni, passaggio a fonti di energia “pulite”, orientamento degli investimenti pubblici per fronteggiare la crisi climatica e gestione delle conseguenze sociali di questa crisi a cominciare dalle migrazioni, diventano temi centrali del dibattito pubblico. Per non parlare del tema di fondo dietro a tutte le questioni: il modello di sviluppo capace di realizzare un futuro sostenibile, un modello che non si realizza distruggendo il sistema capitalistico, ma che non si identifica con gli attuali meccanismi di mercato.

L’ho già scritto, non siamo più nel tempo del negazionismo. Esistono ancora sparute minoranze che sostengono che il riscaldamento globale non esiste, che non ha cause antropiche, cioè legate alle attività dell’uomo, che comunque ogni Paese deve risolversi da solo i suoi problemi. Ma in realtà il dibattito si è spostato su questioni più concrete e stringenti. Per esempio, nessuno o quasi mette apertamente in discussione l’obiettivo europeo di abbattere le emissioni di gas climalteranti del 55% entro il 2030 e di arrivare alla “neutralità climatica” entro il 2050, ma il dibattito sul “come” raggiungere questi obiettivi diventa incandescente.

Per le forze politiche si tratta di una partita difficile. È vero che una parte consistente dell’opinione pubblica, soprattutto nelle fasce giovanili, si dice preoccupata per gli effetti del cambiamento climatico che già si avvertono pesantemente, dalla siccità all’aumento dei fenomeni meteorologici estremi. Ma nessun partito o movimento politico, tra quelli che partecipano alle competizioni elettorali (e non stiamo parlando solo dell’Italia), ha proposto ricette chiare e organiche per far fronte alla situazione che si creerà a medio e lungo termine. Temi come la carbon tax, la tassa sulle emissioni di carbonio connesse alla produzione (o alla importazione) di beni e servizi, l’aumento dell’aiuto "green" ai Paesi in via di sviluppo impegnati ad accrescere le loro produzioni e i loro consumi, con conseguente aumento delle attività inquinanti, una strategia per i movimenti di popolazione provocati dall’inaridimento delle terre, non sono quasi mai stati affrontati con chiarezza nei programmi dei partiti, limitandosi quasi sempre a sbrigativi slogan. Difficile oggi mettere l’opinione pubblica di fronte alla urgenza e alla importanza di certe scelte e di certi sacrifici.

Ogni tanto però le questioni connesse alla transizione ecologica entrano in campo con la grazia di un elefante, sconvolgendo i balletti di breve termine della politica e le frasi di convenienza con le quali si tiene a bada l’opinione pubblica. Negli ultimi giorni è successo per tante vicende nazionali ed europee: il blocco della produzione di auto a combustione interna dal 2035, proclamato e poi congelato, i possibili vincoli sulla commerciabilità degli edifici più inquinanti, ma anche le prospettive del nucleare e, da ultimo, la terribile violenza del naufragio in Calabria, che ci ha ricordato che non possiamo ignorare quanto avviene sulle coste e sui mari attorno a noi. Parafrasando ed estendendo quanto diceva Marco Pannella sull’Africa, se non ci occupiamo del resto del mondo, sarà il resto del mondo a occuparsi di noi.


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L’imbarazzo delle forze politiche è anche accentuato dall’avvicinarsi delle elezioni europee del 2024, per rinnovare una istituzione, il Parlamento di Strasburgo, che ha poco potere e molti acciacchi, ma che per la sua elezione dà luogo all’unico evento nel quale tutte le forze in gioco possono confrontarsi su scala europea, per di più su meccanismi elettorali proporzionali che consentono di misurarne la vera forza. I competitor sono schiacciati tra l’urgenza delle scelte concrete e il ritardo dell’informazione all’opinione pubblica, tra l’esigenza di attenersi alle idee forza che confermano l’appartenenza al consesso europeo e il collegamento con un elettorato poco informato e spesso da rapporti ambigui con i tanti interessi che si sentono minacciati dall’evoluzione in corso.

Dal giugno 1979, quando gli elettori europei furono chiamati a votare per la prima volta per una scelta a suffragio universale e diretto, le elezioni europee si sono tenute già nove volte, con regolare scadenza quinquennale; ma per quel che posso ricordare in quarant’anni di giornalismo politico, si sono sempre svolte, in Italia e negli altri Paesi, su temi sostanzialmente nazionali. Nei programmi, un riferimento abbastanza generico all’evoluzione dell’Unione, e poi campagne elettorali tutte impostate su quello che stava più a cuore alle diverse opinioni pubbliche: gli affari di casa. Del resto, se andiamo con la memoria alle ultime due elezioni, di quella del 2014 ricordiamo la grande affermazione di Matteo Renzi (Partito democratico al 40,8%); del 2019 quella di Matteo Salvini (Lega al 34,3%). "Sic transit gloria mundi", ma ben poco ricordiamo dei temi, degli equilibri e dei cambiamenti nell’Unione.

Tutto questo potrebbe cambiare nel 2024, perché per la prima volta i temi che vanno affrontati a livello europeo, che sono in gran parte quelli della transizione ecologica, impongono scelte comuni. Possiamo accennarne alcuni, senza pretesa di completezza.


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Il primo è certamente quello della transizione a forme di trasporto meno inquinanti. Il contesto generale nel quale si inserisce è quello di una accentuata elettrificazione di tutti i processi che richiedono un combustibile. Per riscaldare le case e far funzionare le industrie si ricorrerà sempre più alla energia elettrica, con l’obiettivo di contenere i consumi attraverso misure di risparmio energetico e comunque di produrre quantità sempre maggiori di elettricità da fonti rinnovabili.

Ma nel campo del trasporto, soprattutto di quello privato, il discorso si fa più difficile, perché il passaggio all’auto elettrica comporta difficoltà strutturali (le fonti di alimentazione nei garage e sulle strade per un parco auto che attualmente in Italia sfiora i 40 milioni di unità), economiche (le grandi modifiche nei meccanismi produttivi con rilevanti conseguenze nell’indotto) e sociali, per le migliaia di lavoratori che dovrebbero reimpiegarsi, pensionarsi o rimanere disoccupati.

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