Giornata mondiale dell’alimentazione richiama l’attenzione sulla sicurezza alimentare globale e sulle azioni necessarie per combattere la fame e la malnutrizione. La fame cronica a livello globale è rimasta relativamente invariata dal 2021 al 2022, ma è ancora molto al di sopra dei livelli pre-pandemia, e ha colpito circa il 9,2% della popolazione mondiale nel 2022 rispetto al 7,9% nel 2019. Quali sono le prospettive per il futuro?
Si stima che tra 691 e 783 milioni di persone nel mondo abbiano dovuto affrontare la fame nel 2022. Se si prende in considerazione la media tra queste due cifre (735 milioni), si calcola che non hanno avuto cibo sufficiente 122 milioni di persone in più rispetto al 2019, prima della pandemia. Inoltre, 2,4 miliardi di persone hanno sofferto di insicurezza alimentare moderata o grave nel 2022.
È aumentato anche il costo del cibo. Tra il 2019 e il 2022, l’Indice Fao dei prezzi alimentari (Fpi), che misura la variazione dei prezzi globali di un paniere di prodotti alimentari tra cui zucchero, carne, cereali, latticini e olio vegetale, con base gennaio 1990 = 100, è cresciuto da 95,1 a 143,7.
ASCOLTA LA PUNTATA DI ALTA SOSTENIBILITÀ SULLA GIORNATA MONDIALE DELL'ALIMENTAZIONE
L’invasione russa dell’Ucraina, uno dei principali produttori di grano, mais e olio di girasole, ha portato a un forte aumento dei prezzi alimentari a livello globale. Dopo che a luglio la Russia si è ritirata dall’accordo sul grano, Kiev ha cercato di reindirizzare i trasporti attraverso il Danubio e i collegamenti stradali e ferroviari verso l’Europa. Ma i costi di trasporto in questo modo sono diventati molto più alti. Inoltre quando la merce arrivava via terra in Polonia, per evitare che si deteriorasse talvolta veniva venduta sottocosto, creando gravi problemi con gli agricoltori polacchi e tensioni col governo di Varsavia.
L’Onu prevede che nel 2030 quasi 600 milioni di persone saranno cronicamente denutrite. Si tratta di circa 119 milioni in più rispetto a uno scenario in cui non si fossero verificate né la pandemia né la guerra in Ucraina, e circa 23 milioni in più rispetto a uno scenario che include la pandemia ma senza il conflitto russo-ucraino. L’obiettivo “Fame zero”, sancito dall’Agenda 2030 delle Nazioni unite, si fa sempre più distante.
Nel frattempo, nel mondo quasi un terzo del cibo che viene coltivato va perso o sprecato, e in alcuni Paesi africani quasi la metà di tutta la frutta e la verdura viene persa prima ancora di raggiungere gli scaffali dei negozi o le bancarelle del mercato, a causa di filiere commerciali spesso informali.
I punti caldi
Ci sono molti posti nel mondo che si trovano ad affrontare crisi alimentari sempre più profonde, dal “Corridoio secco” centroamericano e Haiti, al Sahel, la Repubblica Centrafricana, il Sud Sudan e poi verso est fino al Corno d’Africa, alla Siria, allo Yemen e fino all’Afghanistan.
Non tutti i Paesi in via di sviluppo hanno percorsi simili: nel 2022 sono stati osservati progressi nella riduzione della fame in Asia e America Latina, mentre era ancora in aumento in Medio Oriente, nei Caraibi e in tutte le sottoregioni dell’Africa. L’Africa rimane la regione più colpita con una persona su cinque che soffre di insicurezza alimentare acuta, più del doppio della media globale.
Sos raccolti
Nella regione africana del Sahel, che comprende Niger, Mali, Ciad e Burkina Faso, le stagioni delle piogge stanno diventando più irregolari. La siccità sta portando a una diminuzione della produzione alimentare, mentre le inondazioni causano epidemie. In molti tra i Paesi più poveri e fragili del mondo si stanno registrando tendenze simili.
La Fao, per esempio, ha presentato recentemente la prima stima globale dell’impatto dei disastri sull’agricoltura. Negli ultimi 30 anni, a causa di eventi catastrofici sono andati perduti raccolti e produzione di bestiame per un valore stimato di 3.800 miliardi di dollari, corrispondenti a una perdita media di 123 miliardi di dollari all’anno o al 5% del Pil agricolo globale annuo. Ma come sono distribuite queste perdite?
Il Rapporto rivela che negli ultimi tre decenni, i disastri, definiti come gravi interruzioni del funzionamento di una comunità o società, hanno inflitto ai Paesi a reddito medio-basso le perdite relative più elevate, fino al 15% del loro Pil agricolo totale. E hanno avuto un impatto significativo anche sui piccoli Stati insulari in via di sviluppo, mandando in fumo quasi il 7% del loro Pil agricolo.
Qual è stato, invece, l’impatto del clima sui prodotti agricoli? Negli ultimi tre decenni le perdite di cereali sono state pari a 69 milioni di tonnellate all’anno, corrispondenti all’intera produzione cerealicola della Francia nel 2021, seguite da frutta e verdura e colture di zucchero, ciascuna con perdite medie prossime a 40 milioni di tonnellate per anno. Per quanto riguarda frutta e verdura, le perdite corrispondono all'intera produzione di frutta e verdura in Giappone e Vietnam nel 2021.
Luci e ombre sul fronte degli aiuti pubblici all’agricoltura da parte di governi e agenzie internazionali. Come rileva un altro rapporto della Fao il trend è stato positivo dal 2015 al 2021: gli aiuti sono aumentati del 14,6%, passando da 12,8 a 14,2 miliardi di dollari (a prezzi invariati). Poi l’impennata nel 2020, con la crescita che ha sfiorato il 18% rispetto all’anno precedente, per affrontare l’insicurezza alimentare durante la pandemia. Tuttavia, nel 2021, il totale degli aiuti è diminuito del 15%, tornando quasi ai livelli pre-Covid.
In un terzo dei Paesi valutati, inoltre, meno del 50% delle donne e degli uomini coinvolti nella produzione agricola hanno diritti di proprietà o di possesso sui terreni agricoli. Tra i proprietari terrieri, in quasi la metà dei Paesi la percentuale di uomini è almeno doppia rispetto a quella delle donne.
Agricoltura 4.0
I progressi per sconfiggere la fame e garantire sicurezza alimentare a tutta l’umanità dipendono da molti fattori: lotta agli sprechi e accesso ai mercati, accordi di interscambio tra Paesi, interventi finanziari e politiche nazionali contro la povertà. Ma un fatto è certo: le nuove tecnologie e le scoperte scientifiche offrono l’opportunità di migliorare radicalmente i nostri sistemi alimentari. L’intelligenza artificiale può migliorare la qualità dei raccolti riducendo sprechi e inefficienze. Nell’agricoltura di precisione, le previsioni meteorologiche in tempo reale possono aiutare gli agricoltori nelle decisioni quotidiane su quando e quanto irrigare, concimare e applicare pesticidi alle loro colture. L’agricoltura in ambiente controllato promette di ridurre ulteriormente l’impatto degli eventi atmosferici: alcune serre “intelligenti” sono già completamente automatizzate. La biotecnologia è un altro campo che continua a fare passi avanti, allo scopo di rendere le colture sempre più resistenti alla siccità e ai parassiti. Un nodo cruciale è capire che impatto avranno le colture Ogm (organismi geneticamente modificati) sul mondo agricolo. Contribuiranno a migliorare la produttività agricola e garantire la sicurezza alimentare per un’umanità di oltre nove miliardi nel 2050? Oppure, come sostengono i critici, devono essere vietate per i rischi di impatto negativo sull’ambiente e la salute umana e animale? Mentre la Cina sta investendo da almeno un decennio sul biotech in agricoltura, seppure ultimamente in modo più tiepido, l’Unione europea fatica a stabilire una politica comune.
DA FUTURANETWORK - DA OPENPOLIS E AIC PROPOSTE CONCRETE PER L’AGRICOLTURA DEL 2050
Si tratta di cambiamenti fondamentali e complessi. Come afferma uno studio del Tony Blair institute for global change sulle tecnologie dell’agricoltura 4.0, “la natura interconnessa e la complessità del sistema alimentare evidenzia la necessità di adottare un approccio sistemico alla politica alimentare, in cui qualsiasi intervento o innovazione venga valutato attraverso più elementi”. In altre parole, la tecnologia non può essere semplicemente applicata o sviluppata in modo non responsabile. Anche perché l’obiettivo finale deve essere “dobbiamo offrire i vantaggi pratici delle nuove tecnologie a tutte le persone su larga scala”.
Anche i governi hanno un ruolo nel fornire finanziamenti, infrastrutture e normative efficaci. Per Jayati Ghosh, economista indiana che insegna all'università Jawaharlal Nehru di New Delhi, i politici devono fare di più: non basta regolamentare l’attività finanziaria nei mercati globali delle materie prime per affrontare le cause profonde della fame: “Per resistere alle fluttuazioni dei prezzi sarà necessario aiutare i Paesi e le regioni a costituire riserve di prodotti alimentari essenziali”.
di Andrea De Tommasi
Leggi l'articolo completo su ANSA.it