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La povertà estrema nel mondo diminuisce ma ancora non riusciamo a conoscere a fondo il fenomeno

Redazione Ansa

L’Agenda 2030 richiede l’eliminazione della povertà entro la fine del decennio ma gli effetti della pandemia ne hanno fortemente rallentato il percorso.

Cosa si intende per povertà estrema?

Il concetto di povertà estrema fa riferimento alla mancanza di risorse sufficienti per assicurarsi i fabbisogni di base per vivere, tra i quali acqua potabile sicura, cibo, abitazione e servizi sanitari.

Non è semplice dare una definizione di povertà, in quanto si possono prendere in considerazione aspetti differenti:

  • il reddito: una persona è povera se il suo reddito è al di sotto della soglia di povertà del Paese in cui risiede, calcolata sulla disponibilità economica per acquistare beni di prima necessità. 
  • i bisogni fondamentali: oltre al reddito, questa prospettiva include anche il bisogno di una popolazione di avere strutture e servizi sociali di base in grado di prevenire le povertà.
  • le opportunità: la povertà oltre alla disponibilità economica riguarda la possibilità di esercitare determinati diritti, come poter avere cibo nutriente, un’abitazione sicura e pulita, un’istruzione adeguata, ecc.

Il legame tra povertà e diritti umani è molto forte, la Dichiarazione di Vienna e il Programma d’azione della Conferenza mondiale sui diritti umani del 1993 afferma: “L’esistenza di una povertà estrema diffusa impedisce la piena ed effettiva fruibilità dei diritti umani; la sua immediata riduzione ed eventuale eliminazione deve rimanere di massima priorità per la comunità internazionale”.

Un’altra definizione di povertà, basata sull’approccio dei diritti umani e delle capacità, considera l’impossibilità a raggiungere livelli minimi accettabili delle capacità fondamentali. Capacità che comprendono oltre all’alimentazione, la salute (inclusa la protezione dal rischio di mortalità infantile) e l’abitare, anche l’istruzione, il riconoscimento, la dignità e soprattutto la possibilità di scegliere che vita condurre, quindi anche la misura in cui i diritti umani sono rispettati o viceversa violati.


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Una misura abbastanza recente e innovativa in questo senso è l’Indice di povertà multidimensionale (Mpi) che considera le diverse privazioni che una persona povera può affrontare in termini di scolarizzazione, salute e condizioni di vita, presentata dall’Undp (il Programma delle Nazioni unite per lo sviluppo) nel suo Rapporto del 2010.

La scelta della definizione della povertà non serve solo per misurare statisticamente il fenomeno ma anche per adottare le opportune strategie per combatterla. Se consideriamo solo la mancanza di reddito le strategie di riduzione della povertà sono legate alla crescita economica. Generalmente si utilizzano le sole variabili economiche perché gli altri aspetti, pur essendo ritenuti importanti, sono più difficili da misurare.

La soglia della povertà della Banca mondiale

Dal 1981 la Banca mondiale ha iniziato a studiare il problema della povertà estrema, raccogliendo informazioni sul reddito e lo sviluppo economico nel mondo, per poter individuare un limite monetario al di sotto del quale calcolare la povertà estrema, con l'idea di fondo che esso dovrebbe riflettere il costo del conseguimento dei fabbisogni essenziali.

Negli anni '90 la Banca mondiale ha definito l’International poverty line (Ipl) come mediana delle linee di povertà nazionali di Bangladesh, Cina, India, Indonesia, Nepal, Pakistan, Thailandia, Tanzania, Tunisia e Zambia (unici Paesi che disponevano di dati in tal senso).

Una delle principali difficoltà nella misurazione della povertà globale è dovuta ai livelli molto variabili dei prezzi nei diversi Stati: per questo motivo, non è sufficiente convertire semplicemente i livelli di consumo delle persone nei diversi Paesi per il tasso di cambio di mercato, ma bisogna anche adeguare le differenze nel potere d’acquisto. I tassi di cambio a parità di potere d'acquisto (Ppa) sono gli ingredienti essenziali della definizione Linee di povertà comparabili a livello internazionale.


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Fino al 2018 il valore della soglia di povertà era pari a 1,90 dollari internazionali al giorno, una valuta ipotetica che si adatta all'inflazione e alle differenze nel costo della vita nelle regioni del mondo. Nel 2018, la Banca mondiale ha introdotto due “soglie aggiuntive” pari a 3,20 e 5,50 dollari al giorno, indicative delle soglie di povertà nazionali rispettivamente nelle economie a reddito medio-basso e a reddito medio-alto.

Per tenere conto del potere parità di acquisto al 2017, questi valori sono stati oggetto di una revisione nel 2022, che ha stabilito i seguenti valori delle soglie: 2,15 dollari al giorno, 3,65 $ e 6,8 5$ (From $1.90 to $2.15 a day: the updated International Poverty Line - Our World in Data). A livello globale questa revisione non ha comportato differenze: nel 2019 l’incidenza di povertà globale passa da 8,70% a prezzi 2011 a 8,44% a prezzi 2017.

Anche l’Unione europea, con il progetto Measuring and mentoring absolute poverty (Abspo), sta lavorando allo sviluppo di una misura monetaria di povertà assoluta che rappresenti un potere di acquisto di beni e servizi comparabile tra Paesi e nel tempo.

La diffusione della povertà nel mondo

La Banca mondiale stima l’incidenza di povertà estrema sulla base di dati raccolti attraverso indagini campionarie sulle famiglie svolte dagli istituti nazionali di statistica e dai propri dipartimenti nazionali. Per alcuni Paesi sono disponibili dati recenti, mentre per altri le informazioni risalgono a molti anni prima e non sono stati aggiornati.

Nel 1990 circa il 38% della popolazione mondiale, 1 miliardo 785 milioni di individui, si trovava in condizioni di povertà estrema, percentuale scesa all’8,4% nel 2019. La numerosità della popolazione e la diffusione della povertà ha portato pochi Paesi asiatici a determinare l’andamento mondiale: la Cina ha contribuito per due terzi alla riduzione della povertà, l’India, l’Indonesia e il Vietnam alla quasi totalità della parte restante, rendendo ininfluente l’andamento di decine di altri Paesi in via di sviluppo.

La dinamica positiva si è interrotta nel 2020 a causa degli effetti della crisi dovuta al Covid-19 con un aumento di circa 70 milioni di persone, che ha portato a superare 700 milioni di poveri, pari a un tasso globale di povertà del 9,3%, con un aumento di 0,9 punti percentuali rispetto al 2019.

La pandemia ha provocato uno shock economico che ha determinato perdite di occupazione e di reddito ovunque nel mondo. A deteriorare la situazione si è aggiunto l’improvviso aumento dell’inflazione scaturito dalla guerra in Ucraina e la recente crisi esplosa nel Medio oriente rischia di rallentare ulteriormente la riduzione della povertà.

Nel 2022 si stimano quasi 700 milioni persone in condizioni di povertà estrema. Per l’Italia gli individui che vivono con meno di 1,90 $ al giorno sono lo 0,8% della popolazione.

Nell’Africa subsahariana la percentuale di persone in povertà arriva al 60-70% (Angola, Mali, Madagascar, Zambia, Sud Sudan); in Asia meridionale, si registrano incidenze tra il 5 e il 10% in India, Myanmar e Pakistan; in America Latina, intorno al 5-7%, in Brasile, Bolivia, Colombia e Venezuela. 

Le immagini satellitari della Terra di notte disegnano la mappa della povertà: l’Africa è il continente più buio, dove tanti insediamenti urbani e rurali non hanno ancora accesso all’elettricità, seguita dall'Asia (cfr. Nature Communications).

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di Giuliana Coccia

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