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La capacità dei leader di vedere il futuro sulla base di 18 anni di Global risk report

Redazione Ansa

Quando nel 2006 venne lanciato il primo rapporto sui rischi globali del World economic forum (Wef) il mondo viaggiava verso una crisi finanziaria che nel giro di pochi mesi avrebbe sconvolto le nostre economie e le nostre società. Lo scopo del rapporto originale non fu tanto quello di individuare i rischi immediati e a breve termine, ma di fornire ai decisori politici le informazioni necessarie per affrontare l’incertezza in un arco di tempo di dieci anni. Già nel 2007, un anno prima dell’implosione della banca d’investimento Bear Stearns che diede il via al crack finanziario, il crollo del settore veniva identificato come uno dei cinque principali rischi globali, sia in termini di probabilità sia di impatto (blow up in asset price nel grafico). La storia del Global risks report è fatta di previsioni, di preoccupazioni espresse da leader del settore, policy maker, esperti ed esperte di rischi sociali. In sostanza parliamo di una vasta schiera di persone provenienti dai diversi comparti della società capaci di orientare il dibattito e di modificare con le proprie decisioni il corso degli eventi.

Dalle decine di partecipanti fino ai quasi 1500 dell’ultima edizione, passando per gli 896 partecipanti del 2015, il rapporto sui “rischi globali” presenta i risultati del sondaggio Global risks perception survey. Per comprendere l’analisi, è importante specificare che il Wef quando parla di rischi globali fa riferimento alla “possibilità che si verifichi un evento capace di avere un impatto negativo su una significativa percentuale del Pil globale, della popolazione o delle risorse naturali”.

I rischi globali dei primi rapporti

Come accennato, gli effetti di vasta portata scaturiti dalla recessione preoccupavano gli intervistati ancor prima dell’esplosione della crisi finanziaria. Il seguente grafico descrive l’evoluzione nel tempo delle prime cinque posizioni degli eventi più probabili e quelli con un impatto maggiore. Appare chiaro che nei primi anni gli intervistati erano maggiormente preoccupati dalle crisi economiche generate da una serie di fattori, tra cui lo shock dei prezzi petroliferi e il “China hard landing” (un marcato rallentamento, o una recessione, dopo un periodo di rapida crescita dell’economia cinese). Man mano che gli effetti della crisi finanziaria si palesavano, uno dei rischi più significativi per l’economia globale – che in figura vediamo in blu - è stato considerato la disoccupazione e la sottoccupazione, con la grave disparità di reddito che ha rappresentato il rischio più probabile per tre anni consecutivi, dal 2012 al 2014.

Ma non c’è solo economia. Nel 2011 gli esperti sostenevano che quattro dei cinque rischi più probabili erano di tipo ambientale (in verde nella figura). Nello stesso anno, il cambiamento climatico diventava il secondo rischio più alto in termini di impatto, poiché cresceva la preoccupazione per la mancanza di azioni, sia in termini di adattamento e sia di mitigazione, per risolvere il problema.

Anche i rischi sociali - in rosso - hanno avuto un ruolo considerevole. Nei primi Global risks report, oltre alla disuguaglianza dei redditi, l’attenzione veniva catturata dalla disponibilità d’acqua che da una parte subiva gli effetti dell’aumento delle temperature, dall’altra diventava meno abbondante provocando tensioni tra le popolazioni. Ecco spiegata la scelta del perché è stata inserita tra i problemi di carattere sociale. La crisi idrica è stato il secondo rischio più elevato in termini di impatto sia nel 2012 sia nel 2013, e il terzo nel 2014.

Anche la pandemia è stata diverse volte in cima alla classifica. Nel 2007 figurava al quarto posto per impatto (al quinto posto nel 2008, mentre nel 2015 compariva “rapid and massive spread of infectious disease”), a seguito della diffusione dell’H5N1. L’influenza aviaria che aveva colpito gli uomini in Vietnam e il pollame in Asia ha fatto rivivere nel mondo la paura per la diffusione di un virus altamente patogeno. Timori che si sono concretizzati nel 2020 quando la metà del Pianeta, in seguito alla diffusione del virus Sars-Cov-2 che genera negli umani la malattia Covid-19, è stato costretto a ricorrere persino al lockdown per fronteggiare la crisi sanitaria. La diffusione dei virus, ci ricordano gli esperti, è tra l’altro strettamente collegata alla cattiva gestione degli ecosistemi.

Fin dall’inizio dell’analisi il Wef ha tenuto in considerazione gli effetti negativi di carattere geopolitico (in arancione). La deglobalizzazione è stata classificata come il secondo rischio globale più impattante nel 2007 e nel 2008, mentre nel 2015, 29 anni dopo la caduta del muro di Berlino, il conflitto tra Stati primeggiava tra i rischi globali più probabili ed era al quarto posto tra quelli a maggiore impatto.

Dallo stesso grafico si evince che i rischi in blu – economici – dominavano più o meno entrambe le tabelle nei primi quattro anni in cui il Wef ha raccolto i dati del sondaggio (la prima edizione del 2006 era sprovvista di questa analisi). Sebbene fossero ancora presenti negli anni dal 2011 al 2015 in termini di impatto, è interessante notare che quando veniva misurata la probabilità essi cedevano il passo alla crescente preoccupazione per i rischi ambientali e sociali.

Anche altri valori appaiono con maggiore frequenza nell’orizzonte del rischio. Per esempio i due rischi geopolitici – corruzione e conflitto geopolitico – nel 2011, seguiti nel 2013 dalla diffusione di armi di distruzione di massa.

È poi interessante notare l’andamento del rischio tecnologico (in viola). Nel 2007 la valutazione menzionava il crollo delle infrastrutture critiche di informazione quale rischio più probabile. Se all’inizio il rischio tecnologico poteva sembrare un’anomalia statistica, pian piano, come vedremo, si è guadagnato i primi posti della classifica.

I rischi globali al 2020

Per quanto riguarda gli anni fino al 2020, il grafico seguente, che nella prima tabella mostra sempre i rischi per probabilità di avvenimento e nella seconda i rischi per impatto, fornisce una chiara indicazione: dal 2016 in poi sono in forte ascesa i rischi di carattere ambientale, tanto da aggiudicarsi gran parte delle due classifiche nel 2020.

Per la prima volta nelle prospettive decennali del sondaggio, i primi cinque rischi globali in termini di probabilità erano tutti ambientali. Gli eventi meteorologici estremi, ricordava il Wef, oltre a falciare sempre più vite possono portare a ingenti danni alle proprietà e alle infrastrutture. Seguivano i danni direttamente causati dall’uomo (human made environmental disasters), comprese le fuoriuscite di petrolio e la contaminazione radioattiva, e la perdita di biodiversità unita al collasso dell’ecosistema. Salta inoltre all’occhio il fallimento dell’azione climatica (climate action failure), rispettivamente al secondo posto per probabilità e al primo per impatto nel 2020. Un allarme che, non a caso, veniva lanciato cinque anni dopo Parigi: gli esperti osservavano che i governi non avevano messo in campo le politiche necessarie al rispetto dell’Accordo del 2015.

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di Ivan Manzo

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