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Il futuro della mobilità è elettrico se sapremo superare le resistenze

Redazione Ansa

I veicoli elettrici sono vicini al tipping point, ovvero il punto di svolta per l’adozione di massa”, si legge sul Guardian. La Cina, che traina il settore, questo lo ha capito bene. L’intero mercato cresce a ritmi sostenuti, eppure persistono diverse forti resistenze, anche perché l’auto elettrica presenta una serie di ostacoli evidenti anche ai cittadini, come la durata delle batterie e i costi di acquisto più elevati rispetto alle vetture tradizionali, anche se i costi di gestione sono nettamente inferiori a queste ultime. Il futuro della mobilità su gomma è dunque elettrico oppure siamo di fronte a un’ideologia green irrealizzabile?

Come siamo soliti fare in ASviS, proviamo ad affrontare la questione a partire da dati, studi ed evidenze scientifiche, limitandoci qui al solo settore automobilistico e non a quello “automotive”, che comprende anche le moto e i veicoli commerciali, leggeri e pesanti. Inoltre, ci concentriamo sulle automobili private, ma va notato che la transizione ad una mobilità sostenibile implica un profondo cambiamento del sistema complessivo della mobilità pubblica e privata, soprattutto nelle aree urbane.

Sulle vetture elettriche ci sono alcune sfide reali, che richiedono un forte impegno da parte del governo, ma anche del sistema industriale, a fronte di vantaggi evidenti sul piano ambientale. Accanto a tali sfide, esiste una notevole quantità di propaganda politica, ma anche da parte di soggetti economici che hanno interessi in questo settore, che hanno reso il dibattito su questo tema estremamente confuso e basato spesso su fake news. Proviamo ad andare con ordine.

È del tutto evidente che una transizione di un settore che produce un bene di largo consumo, necessario per molti, legato all’immaginario collettivo con cui la generazione adulta e anziana è cresciuta, che impiega (direttamente o indirettamente) centinaia di migliaia di lavoratori è un processo molto complesso e multidimensionale, anche sul piano culturale. In primis, c’è la questione del disegno di unapolitica industriale, nazionale ed europea, che deve porre le condizioni per una fornitura sicura e adeguata delle materie prime, dei prodotti finiti e dell’infrastruttura destinata ad alimentare auto elettriche o a idrogeno, le uniche attualmente in grado di rispettare le regole europee, che dal 2035 impongono la vendita di veicoli nuovi a emissioni zero “al tubo di scappamento”, nel rispetto del criterio della “neutralità tecnologica”, nonostante quello che spesso si afferma dai critici delle politiche Ue. Con colpevole ritardo, le recenti iniziative europee volte ad accrescere l’autonomia strategica e la disponibilità di materie prime strategiche vanno nella direzione di condurre una politica industriale più dinamica, in quanto prevedono di far crescere la produzione europea di batterie, pale eoliche, pannelli solari, ecc., ma anche contro la concorrenza sleale da parte della Cina attraverso dazi sulle auto elettriche prodotte in tale Paese.

D’altra parte, non c’è dubbio che un’auto elettrica richiede meno componenti, richiede minore manutenzione, dura di più, ecc. Il che vuol dire che, a parità di auto prodotte, la quantità di materie prime e di lavoro è inferiore rispetto all’attuale volume. Quindi, è in mano ai governi anche la gestione della ricollocazione dei posti di lavoro che si potrebbero perdere con la transizione nel settore automobilistico, un aspetto su cui il tempo ancora c’è e che quindi va subito affrontato.

Detto questo, va ricordato che i trasporti contribuiscono a circa il 30% delle emissioni totali di gas climalteranti e di altri inquinanti dell’Ue (in netto aumento rispetto al 17% del 1990 e con una previsione di arrivare al 44% nel 2030, senza modifiche alle politiche), fenomeni che, lo ricordiamo, provocano circa 300mila morti premature all’anno per malattie legate all’inquinamento. Inoltre, sulla transizione all’elettrico molte resistenze sono anche il frutto di scarse conoscenze e fake news. Vediamo allora, rispetto a una serie di punti spesso citati nel dibattito pubblico, le “credenze” che circolano nella società italiana e che possono rendere più difficile un approccio serio e scientifico al problema.

Le auto elettriche hanno dei prezzi proibitivi. Anche se gli alti costi di acquisto possono spaventare molti possessori di auto, soprattutto quelli a basso reddito, è bene ricordare che le nuove tecnologie nascono sempre con dei prezzi poco accessibili. Negli anni Ottanta, un cellulare costava quasi 4mila dollari ed era inaccessibile per la maggior parte della popolazione. I prezzi delle auto elettriche, come avvenuto per i cellulari, anni dopo anno si stanno abbassando. Secondo uno studio dell’Agenzia internazionale dell’energia (Iea), “in Europa e negli Stati Uniti, le auto elettriche rimangono dal 10% al 50% più costose rispetto alle equivalenti con motore a combustione, a seconda del Paese e del segmento automobilistico, ma le tendenze attuali suggeriscono che la parità di prezzo potrebbe essere raggiunta entro il 2030”. Ad esempio, i prezzi delle batterie al litio sono scesi da 1.400 dollari per kilowattora nel 2010 a meno di 140 dollari per kilowattora nel 2023, mettendo a segno una delle riduzioni più rapide e consistenti mai osservate nel panorama energetico grazie ai progressi ottenuti nel campo della ricerca e dello sviluppo e per via delle economie di scala che hanno reso sempre più conveniente la produzione di questa tecnologia. Inoltre, come già avviene per le auto tradizionali, il sistema finanziario – grazie alla rateazione – svolge proprio il ruolo di cuscinetto tra il desiderio di acquisto e la disponibilità economica delle persone, e lo svolgerà tanto più in questo caso visto che i costi di gestione di un’auto elettrica sono inferiori a quelli di un’auto tradizionale.

I lunghi tempi di ricarica, le scarse infrastrutture e la bassa autonomia rendono le auto elettriche inutilizzabili. I cellulari degli anni Ottanta avevano una batteria adatta solo per 30 minuti di chiamata. Le case automobilistiche stanno cercando di trovare soluzioni sempre più avanzate a questo problema, come la sostituzione delle tradizionali batterie agli ioni di litio con delle “superbatterie” (batterie allo stato solido) in grado di offrire un’autonomia di 1.200 chilometri (il doppio di quelli attuali) e tempi di ricarica in 10 minuti. Inoltre, procede a ritmo serrato l’installazione di colonnine di ricarica pubblica in Italia, più che raddoppiate negli ultimi due anni. Al 31 marzo 2024 risultano installati 54.164 punti di ricarica, l’Italia è ai primi posti in Europa nel rapporto tra auto elettriche circolanti e colonnine disponibili, anche se persiste una spaccatura territoriale: il 58% dei punti totali si trovano nel Nord, il 42% tra Centro e Sud del Paese.

Le auto elettriche inquinano più di quelle tradizionali. I dati di Transport & Environment, la Federazione europea per il trasporto e l’ambiente, ma anche quelli di altri centri di ricerca indipendenti, mostrano che un’automobile elettrica emette in media tre volte in meno rispetto a una tradizionale, e questa superiorità viene confermata anche guardando all’intero ciclo di vita del prodotto (visto che produrre un’auto comunque comporta emissioni) e considerando la produzione e lo smaltimento delle batterie, sebbene in questo caso vada tenuto presente che il litio usato per costruirle può (e lo sarà sempre di più) essere riutilizzato (a differenza dei materiali usati per le auto tradizionali). Come sottolineato da James Ellsmoor, divulgatore scientifico della rivista Forbes, “i veicoli con motore a combustione non sono in grado di competere”. “Le economie di scala andranno a vantaggio della produzione di veicoli elettrici fornendo infrastrutture migliori, tecniche di produzione più efficienti, opzioni di riciclaggio e riducendo la necessità di estrazione di nuovi materiali”, afferma ancora Ellsmoor, “I veicoli elettrici non sono una panacea, ma combinati con una maggiore diffusione delle energie rinnovabili e la decarbonizzazione della rete elettrica offrono un percorso per ridurre notevolmente le emissioni di gas serra”.

Sono meglio i biocarburanti. Come ASviS, grazie al lavoro del Gruppo di lavoro sul Goal 11 “Città e comunità sostenibili”, abbiamo pubblicato un Position Paper dedicato alla decarbonizzazione dei trasporti, in cui i nostri esperti hanno illustrato chiaramente che l’elettrificazione dei mezzi di trasporti terrestri su gomma e su ferro permette “un maggior incremento dell’efficienza energetica e della decarbonizzazionedel settore rispetto a uno scenario fondato sui biocarburanti”. Quindi, bisogna puntare sull’elettrificazione per tutti i mezzi possibili, “concentrando lo sviluppo dei biocarburanti ‘avanzati’, dell’idrogeno verde o dei combustibili sintetici di origine non biologica (Rfnbo) sui trasporti navali e aerei non elettrificabili”. In particolare, il Paper mette in allerta sulle false rinnovabili: “Di 1552 Ktep [tonnellate equivalenti di petrolio, ndr] di biocarburanti immessi sul mercato in Italia, la maggior parte, circa 900 Ktep, sono fortemente sospetti di non essere realmente rinnovabili, il che comporta talvolta emissioni complessive di gas a effetto serra persino superiori ai derivati dal petrolio”.

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di Flavia Belladonna

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