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L’imprevedibile cammino degli Stati del Golfo verso le energie rinnovabili

Redazione Ansa

Cosa succede quando sei dei Paesi che producono più petrolio sul pianeta, nonché tra gli Stati con le temperature più elevate, provano a diversificare le loro economie, orientando un sistema storicamente fondato sulle fonti fossili verso le rinnovabili?

Questa è la domanda che si sta ponendo più o meno tutto il mondo a proposito del processo di transizione energetica che gli Stati arabi del Golfo persico (Arabia Saudita, Kuwait, Emirati Arabi Uniti, Qatar, Bahrein e Oman) stanno cercando di intraprendere, con risultati più o meno felici. Risultati da cui dipende, però, buona parte della riuscita dei piani per la lotta al cambiamento climatico a livello globale e che, dunque, ci interessano particolarmente da vicino.    

Tra caldo torrido e sprechi di risorse

Per farsi un quadro chiaro della situazione, bisogna mettere innanzitutto in conto una serie di fattori che influiscono in questo processo di transizione. Primo, la temperatura: nei mesi estivi, l’area del Golfo può superare i 50 gradi (questi sei Stati si stanno riscaldando circa due volte più velocemente della media globale e si prevede che le temperature massime andranno oltre i 54 gradi entro il 2100) generando un consumo energetico pro capite tra i più alti del globo. Il Qatar è al primo posto, il Bahrein al quarto, gli Emirati Arabi Uniti al quinto e l'Arabia Saudita al quattordicesimo. Un trend che, con il tempo, potrà solo peggiorare: entro il 2100, a causa anche dell’aumento dei lavoratori stranieri, nell’area del Golfo è previsto un incremento di popolazione dagli attuali 59 milioni a 84, con un ulteriore consumo di risorse.

Secondo, il basso costo dell’energia: gli Stati arabi del Golfo hanno una delle produzioni di petrolio più economiche al mondo e, grazie ai sussidi governativi, la benzina ha un prezzo quasi irrisorio. L'elettricità, sovvenzionata sempre dai governi, costa ai residenti circa sei centesimi per kilowattora (per dare un’idea, in Europa il prezzo è di 30 centesimi e negli Usa 20). Questo fenomeno, combinato con il caldo estremo e le cattive abitudini degli abitanti, genera uno spreco di risorse non indifferente. “A Dubai, è normale lasciare l'aria condizionata sempre accesa, anche se si va via per settimane. Il Qatar ha le più grandi piste da jogging con aria condizionata del mondo. In tutti gli Emirati Arabi Uniti, l'acqua è così economica che alcune persone aprono la doccia solo per ascoltarla”, fa notare Bloomberg. Per non parlare poi degli enormi (e abbastanza inconcepibili) impianti sciistici dentro ai centri commerciali, che nei Paesi del Golfo stanno diventando una moda: lo Snow Abu Dhabi all’interno del Reem Mall della capitale è largo 9.700 metri quadrati, mantiene una temperatura interna di -2 gradi (mentre fuori ne possono fare 43) e contiene 20 attrazioni, tra cui una pista per slittini e una per toboga. Circa due volte più grande (22.500 metri quadrati) è lo Ski Dubai, resort sciistico inserito nel Mall of the Emirates, che ha al suo interno una montagna finta alta circa 25 piani. Anche l'Oman ha un resort sciistico gigante e l'Arabia Saudita ne sta costruendo uno.

C’è da sottolineare, però, che non tutti coloro che si trasferiscono nel Golfo frequentano piste da sci: circa la metà della popolazione dell’area è composta da migranti poveri provenienti da India, Nepal, Pakistan e Filippine: impiegati soprattutto nel settore edilizio e petrolifero, sono costretti a orari lavorativi lunghi e sfibranti sotto un caldo asfissiante. Human rights watch ha stimato in un rapporto del 2022 che nell’area muoiono ogni anno fino a 10mila lavoratori migranti, e “più della metà di questi decessi non vengono spiegati”.


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Per dare un taglio allo spreco di energia, alcuni Stati del Golfo stanno provando ad applicare delle contromisure: il governo saudita ha iniziato già da qualche anno ad aumentare le bollette, rendendo più dispendioso lo spreco, e lanciando campagne di informazione pubblica per convincere le persone a usare meno acqua ed elettricità.

Gli Emirati Arabi Uniti hanno cominciato ad abbandonare alcuni dei sussidi profusi a favore dei carburanti, promuovendo invece il trasporto pubblico. All’inizio del 2024 la Dubai electricity & water authority, l’Autorità di Stato per l’energia e l’acqua, ha lanciato una campagna per chiedere ai residenti di “rendere le scelte estive intelligenti”, abbassando l’aria condizionata a 24 gradi (rispetto ai consueti 18) e annaffiando le piante nelle ore più fresche, evitando una repentina evaporazione.

Su queste premesse, Emirati Arabi Uniti e Oman si sono impegnati a raggiungere l’obiettivo emissioni nette pari a zero entro il 2050, mentre Bahrein, Kuwait e Arabia Saudita entro il 2060. Il Qatar, invece, non ha ancora stabilito il suo target. 

Cosa stanno effettivamente facendo i Paesi del Golfo

Andiamo quindi a capire cosa si sta smuovendo nell’area, promesse a parte. Gli Emirati Arabi Uniti prevedono di produrre il 30% dell’energia da fonti rinnovabili e nucleare entro il 2030. Per questo motivo, hanno inaugurato l’anno scorso il parco fotovoltaico più grande al mondo: si chiama “Al Dhafra”, ed è una mega installazione che si estende per oltre venti chilometri quadrati nel deserto, conta quattro milioni di pannelli solari e produrrà due gigawatt di energia all’anno, soddisfacendo il consumo energetico di circa 200mila abitazioni. Gli Emirati hanno acceso nel 2020 anche la prima centrale nucleare del mondo arabo, e prevedono di investire 54 miliardi di dollari in ricerca e infrastrutture sul fronte energetico nei prossimi sette anni.

Di dimensioni simili il progetto dell’Arabia Saudita, che con l’impianto fotovoltaico “Sudair” vanta 1,5 Gw di produzione annua, e ha portato a quota 2,7 Gw il quantitativo complessivo di energia prodotto dal settore fotovoltaico nel Paese. L’Arabia Saudita si è posta come obiettivo di generare il 50% della propria elettricità attraverso fonti rinnovabili entro il 2030, mentre l'Oman prevede di arrivare al 30% entro lo stesso anno.

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di Flavio Natale

 

Copertina: Junhan Foong/unsplash

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