Una bambina che nasce oggi dovrà attendere fino al suo 97esimo compleanno per vedere la parità di genere in tutto il mondo. A lanciare l’allarme è Equal Measures 2030 (EM30), una coalizione internazionale che dal 2016 monitora i progressi verso l’uguaglianza di genere a livello globale, alla luce del quadro raccontato nel rapporto “A gender equal future in crisis?”. Il documento, pubblicato il 5 settembre, illustra i risultati dell’SDG Gender Index su 139 Paesi, Italia compresa, attraverso un punteggio da 0 a 100, che esprime sinteticamente a che punto sono le nazioni nella riduzione del divario tra uomini e donne da quando è stata adottata l’Agenda 2030 nel 2015.
L’indice include 56 indicatori che coprono numerosi temi legati a 14 dei 17 Obiettivi di sviluppo sostenibile (SDGs): dai diritti sanitari a quelli educativi, dalla povertà alla partecipazione al mercato del lavoro e alla politica. Comprende anche le questioni che impattano in modo sproporzionato su donne e ragazze come i cambiamenti climatici e i conflitti, e la presenza di quadri giuridici relativi all’uguaglianza di genere.
L’analisi si basa sui dati disponibili fino al 2022, provenienti da una vasta gamma di fonti tra cui Onu, Ocse, Banca mondiale e sondaggi globali.
A che punto siamo
Nel 2022 il punteggio medio globale dei 139 Stati presi in esame è stato di 66,1/100, con un lieve miglioramento rispetto alla prima rilevazione nel 2015 (63,7). Gli 81 Paesi che presentano indici “bassi” (tra i 60 e i 70 punti) o “molto bassi” (sotto ai 60) sono caratterizzati da conflitti, livelli molto alti di povertà assoluta, scarso accesso all’istruzione e ai servizi igienico-sanitari, numeri elevati di gravidanze tra le adolescenti e mancanza di leggi contro la discriminazione basata sull’orientamento sessuale.
I livelli più alti di parità di genere sono in Svizzera (90 punti), Svezia (89,3) e Danimarca (89), mentre in ultima posizione troviamo l’Afghanistan (35,4), preceduto da Niger (41) e Ciad (40,1). L’Italia ottiene un punteggio di 77,1, collocandosi al 31esimo posto della classifica globale. In generale, nei Paesi ad alto reddito, i livelli di uguaglianza di genere sono maggiori rispetto a quelli a basso reddito. Tuttavia, alcune nazioni meno sviluppate riescono a creare società più eque, rivelando che la parità è associata a più fattori ed è possibile raggiungerla anche quando le risorse sono poche.
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Gli scenari al 2030
Gli autori hanno provato a prevedere l’evoluzione della parità di genere entro il 2030 sulla base dell’andamento osservato tra il 2019 e il 2022. Nello scenario peggiore, vale a dire se tutti i Paesi seguissero il ritmo dei 17 in cui la situazione è maggiormente in declino, il punteggio medio globale dell’indice nel 2030 sarebbe pari a 62,9, persino inferiore a quello di partenza nel 2015. Nel migliore dei casi, ossia se si comportassero come i 41 Paesi che hanno registrato progressi più rapidi, tra cui c’è anche l’Italia, verrebbe raggiunto un punteggio di 73,5, comunque ben lontano dall’obiettivo di 100.
In entrambi gli scenari miliardi di donne e ragazze nel 2030 saranno ancora prigioniere nelle disuguaglianze, con prospettive di vita gravemente compromesse.
Sette azioni per sbloccare il potenziale della parità di genere
Garantire a donne e ragazze le stesse opportunità degli uomini è una questione di giustizia sociale, ma anche un investimento che produce benefici per interi Paesi, aumentando Pil, occupazione, produttività, innovazione e competitività. Una maggiore partecipazione delle donne al mercato del lavoro e una più equa distribuzione dell’assistenza familiare potrebbero aumentare i tassi di fecondità, affrontando così più efficacemente la sfida dell'invecchiamento della popolazione. Come possiamo sbloccare questo prezioso potenziale? EM2030 avanza un piano di nove raccomandazioni.
- Abbattere le barriere che impediscono alle donne, soprattutto quelle provenienti da contesti svantaggiati, di accedere a posizioni dileadership in tutti gli ambiti della società. Basti dire che nel 2022 solo 12 Paesi su 139 hanno raggiunto l’equità nei loro Parlamenti.
- Riconoscere e tutelare legalmente l'uguaglianza di genere, coinvolgendo la società civile nel processo di definizione e aggiornamento delle leggi e delle politiche. Questo rafforzerebbe la democrazia e accrescerebbe la consapevolezza dei diritti delle donne.
- Investire maggiormente nella raccolta e nell’analisi di dati disaggregati per sesso e genere, al fine di monitorare i progressi e formulare politiche efficaci.
- Aumentare iservizi pubblici e le misure di protezione sociale capaci di sostenere l’occupazione femminile e la conciliazione della vita lavorativa. Prevedere un sistema fiscale più giusto, che chieda di più a chi ha di più, per aiutare le donne a basso reddito a uscire dalla povertà. Combattere il deterioramento dei diritti di contrattazione collettiva di molti Paesi (peggiorati tra il 2019 e il 2022 in 30 Paesi), per sostenere le donne nella negoziazione di salari e condizioni di lavoro più dignitose.
- Investire nel benessere delle donne fin dall’adolescenza e dalla giovinezza. Quasi il 75% della fascia d’età compresa tra i 10 e i 24 anni vive in Paesi con forti disuguaglianze di genere.
- Aumentare gli aiuti ai movimenti femministi, spesso determinanti non solo per la promozione dei diritti delle donne, ma anche per il contrasto a questioni trasversali come i cambiamenti climatici, le disuguaglianze economiche e i conflitti. Nel biennio 2021-2022 solo lo 0,7% degli aiuti per la parità di genere ha raggiunto le organizzazioni per i diritti delle donne, pari a 453 milioni di dollari su 64,1 miliardi di dollari.
- Porre la parità di genere al centro degli sforzi dicooperazione internazionale, una condizione essenziale per rispettare gli impegni assunti e contrastare ogni forma di resistenza.
di Antonella Zisa
Fonte copertina: alexan107, da 123rf.com
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