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Non un pezzo di carta: con il Patto del futuro è in gioco la credibilità del multilateralismo

Redazione Ansa

Noi, Capi di Stato e di Governo, in rappresentanza dei popoli del mondo, ci siamo riuniti presso la sede delle Nazioni Unite per proteggere le esigenze e gli interessi delle generazioni presenti e future attraverso le azioni di questo Patto per il futuro. […] Attraverso le azioni che intraprendiamo oggi, decidiamo di percorrere quella strada, impegnandoci per un mondo che sia sicuro, pacifico, giusto, equo, inclusivo, sostenibile e prospero, un mondo in cui benessere, sicurezza e dignità e un pianeta sano siano assicurati a tutta l'umanità.

Apre così il preambolo del Patto del futuro, il documento approvato da 143 Paesi dell’Onu, inclusa l’Italia, che si sono riuniti il 22 e 23 settembre a New York per definire una linea strategica comune di lungo periodo nella gestione degli equilibri globali e per rilanciare il multilateralismo. A leggerlo così, non mi stupisce ci sia chi pensa sia solo un’utopia e nemmeno chi crede sia tutta carta straccia piena soltanto di belle parole. Accadeva lo stesso anche per l’Agenda 2030 per lo sviluppo sostenibile, firmata nel 2015 da 193 Paesi dell’Onu. Ricordo ancora bene quando, a un seminario che avevo tenuto sulla sostenibilità qualche anno fa, un partecipante mi chiese: “Ma se l’Agenda 2030 non è vincolante ma solo un impegno volontario dei Paesi, tanto che senso ha?”, e cioè tra le righe “non lo faranno mai”.

Eppure, dal 2015 ad oggi, il mondo è radicalmente cambiato. Ed è cambiato non solo in peggio, con nuove guerre, pandemia, accelerazione del cambiamento climatico, negazionismi e passi indietro sui diritti, ma anche in meglio: i temi dello sviluppo sostenibile sono stati portati fortemente al centro delle agende politiche e del dibattito pubblico, il Green Deal ha reso l'Europa il primo continente con un'agenda climatica per la neutralità carbonica entro il 2050, la Commissione von der Leyen ha posto l’Agenda 2030 al cuore del suo mandato imprimendo una forte accelerazione alle politiche di sostenibilità, è stata approvata la direttiva sul reporting di sostenibilità aziendale, mentre la Banca europea degli investimenti ha cessato di finanziare i combustibili fossili, per citare qualche esempio.

E anche in Italia sono stati fatti grandi passi avanti: abbiamo adottato piani e strategie chiave, inclusa la Strategia nazionale per lo sviluppo sostenibile, gli indicatori di Benessere equo e sostenibile (Bes) sono entrati nella definizione delle politiche economiche, con la trasformazione del Cipe in Cipess lo sviluppo sostenibile è stato integrato nella programmazione degli investimenti, è stato introdotto l’insegnamento obbligatorio dell’educazione civica portando l’Agenda 2030 nelle scuole, è stato insediato il Cite per il coordinamento delle politiche nazionali per la transizione ecologica, la Costituzione è stata modificata nei suoi principi fondamentali per la salvaguardia dell’ambiente e la tutela delle future generazioni, senza considerare poi le grandi mobilitazioni della società civile e il lavoro di migliaia di organizzazioni impegnate nella ricerca di soluzioni costruttive. Che cosa sono tutte queste, se non straordinarie dimostrazioni che qualcosa si è mosso nella direzione giusta? Sono dimostrazioni che i grandi accordi globali, come l’Agenda 2030 o il nuovo Patto del futuro, non sono carta straccia, ma sono in grado di smuovere interi Paesi e Continenti. Dimostrazioni che questi accordi hanno delle ripercussioni reali, perché se un decreto viene bloccato dalla Corte Costituzionale in quanto ritenuto illegittimo in nome della Costituzione, vuol dire che allora quella modifica costituzionale, tra l’altro fortemente voluta dall’ASviS, non è stato un cambiamento di facciata ma un grande traguardo dagli effetti concreti.  

Certamente la strada per raggiungere questi successi non è stata priva di ostacoli, e su ritardi e progressi faremo il punto proprio a breve, il 17 ottobre, con la presentazione del nono Rapporto ASviS, illustrando tra le novità anche gli scenari al 2030 per gli Obiettivi di sviluppo sostenibile, in aggiunta alle proposte delle centinaia di esperte ed esperti per raggiungerli. Ma che l’Agenda 2030 abbia portato delle trasformazioni reali è innegabile, sarà dunque così anche per il Patto del futuro?

Nonostante l’avvilente disattenzione dei media, sicuramente siamo di fronte al più grande impegno internazionale proiettato al futuro degli ultimi anni (come abbiamo raccontato in questo articolo che riepiloga i contenuti del Patto e dei suoi allegati, oltre a riportare anche il confronto politico e l’intervento dell’Italia al Summit). Ma la situazione è radicalmente diversa rispetto a quando è stata firmata l’Agenda Onu nel 2015, perché ora in contemporanea alle discussioni al Summit sono in corso altri confronti, come quelli sulle guerre, e stavolta l’accordo non è stato unanime, ma approvato a maggioranza: 143 voti favorevoli, 7 contrari e 15 astensioni. A non aderire sono stati Bielorussia, Corea del Nord, Iran, Nicaragua, Russia, Sudan e Siria, mentre tra gli astenuti troviamo la Cina. Il Patto è stato rivisto più volte, con la quinta e ultima versione inevitabilmente indebolita, e scontri politici fino all’ultimo. Ci sono state, ad esempio, opposizioni dalla Russia sul “risolvere le nostre dispute pacificamente, astenendoci dalla minaccia o l’uso della forza, o atti di aggressione, rispettando la reciproca sovranità e integrità territoriale”, altri Paesi si sono messi di traverso su diritti umani, parità di genere e partnership con la società civile, e soprattutto chi si è opposto voleva escludere che l’Onu potesse intervenire nelle materie interne alle Nazioni.

Il Summit ha rappresentato dunque il riflesso delle tensioni geopolitiche attuali, mettendo in luce l’allarmante ampia coalizione di autocrazie contrarie al consenso democratico. Dall’altro lato, però, è stato anche il segnale di due importanti elementi positivi. Il primo, è la conferma che questi Patti non sono parole vuote ma hanno un significativo peso politico, altrimenti i Paesi che si sono opposti non si sarebbero presi la briga di proporre emendamenti o di non aderire. E il motivo sta nel fatto che, anche se non sono vincolanti, da questi accordi deriva la credibilità dei Paesi a livello internazionale. Il secondo elemento, invece, riguarda il successo per il sistema multilaterale, la capacità che l’Onu è riuscita a mettere in campo (e che quindi ancora ha) di trovare un ampio consenso sulle grandi sfide dei nostri tempi.

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di Flavia Belladonna

 

Fonte copertina: UN Photo/Loey Felipe

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