CEOforLIFE

Intervista al CEOforLIFE Stefano Carone, Managing Partner and Shareholder Il Prisma

Redazione Ansa

Lunedì 5 febbraio, presso gli spazi de il Prisma Live, si è tenuta la Round Table Business Match “Ridisegnare una nuova esperienza lavorativa e il ruolo dello spazio rigenerativo”. Un incontro di lavoro incentrato proprio sugli spazi di lavoro, sul loro utilizzo e sulle eventuali riprogettazioni da ideare e ripensare alla luce dei cambiamenti che le nuove forme lavorative oggi impongono.

Prima dell’inizio della Round Table, abbiamo avuto modo di parlare con Stefano Carone, Managing Partner e Shareholder de Il Prisma, società internazionale di architettura e design. Una realtà, con DNA italiano, che progetta spazi ed esperienze proprio per le persone.

Dottor Carone, partiamo da uno dei driver de Il Prisma: l’attenzione rivolta alle persone che abitano i luoghi di lavoro. Come è cambiato oggi il modo di vivere gli spazi di lavoro e come gli spazi di lavoro da voi riprogettati mettono al centro l’esperienza umana?

Ci troviamo in un momento storico particolare: siamo, infatti, in una fase di rivoluzione del senso dell’esperienza lavorativa. Per questo è opportuno re-immaginare la stessa esperienza lavorativa, prima ancora che lo spazio in cui quest’esperienza avrà luogo.

Per farlo ci siamo domandati cosa possa giustificare il viaggio, che da casa siamo costretti ad impegnare per andare in ufficio. Trovare la giustificazione di questo viaggio significa rispondere al fatidico interrogativo che ci pongono i nostri clienti: come faccio a far tornare le persone in ufficio?

Per quanto ci riguarda, applicando il nostro modello di analisi - provocatoriamente chiamato Therapy -, abbiamo capito, soprattutto per i nostri ragazzi e per i nostri creativi, che l’aspetto fondamentale era di consentire loro di sviluppare quanto più possibile la propria conoscenza. Non solo verticalmente, come nel caso di un designer che apprende da un altro designer, ma anche di imparare lateralmente. Ampliando, dunque, le proprie conoscenze nello scambio e nel rapporto con professionalità diverse, ad esempio imparando da un digital o da uno strategist.

Gli spazi di lavoro, quindi, devono essere sempre più fonte di stimoli. Questo nuovo spazio, in cui siamo qui oggi, non a caso abbiamo deciso di chiamarlo Il Prisma Live, in modo che qui siano concentrate le cose significative che succedono - ora e in uno specifico momento - per le nostre persone. Due terzi di questo nuovo spazio sono dedicati non alle attività individuali, ma a quelle di collaborazione, che può avvenire in modalità differente, a seconda delle situazioni che si presentano.

Abbiamo costruito un palinsesto prima che uno spazio fisico, svolgendo attività differenti, in base alle giornate. I team possono incontrarsi formalmente o condividere idee davanti ad una tazza di caffè. Così come di sera possono tenersi talk o eventi. È presente anche un giardino dove abbiamo voluto inserire le essenze del mediterraneo con i profumi e i rumori di questo outdoor. È uno spazio che viene vissuto in tutti i momenti della giornata con obiettivi diversi.

A disposizione per tutti c’è anche una zona dedicata al laboratorio di idee, quindi la parte di innovation. Poi, è presente un atelier dedicato ad un singolo artista, perché pensiamo che la contaminazione deve uscire dai canali consueti - cui siamo abituati dalla progettazione -, aprendosi ad altri mondi. Quest’anno sarà Marco Nereo Rotelli a condividere con noi il percorso di ricerca.

E, in merito a queste tematiche, la Round Table Business Match di oggi rappresenta una grande occasione per sperimentare su noi stessi quello che facciamo spesso per i nostri clienti: domandarsi cosa possa rendere maggiormente significativa la condivisione di momenti, di collaborazione e condivisione.

 

Il Prisma Live è un percorso sensoriale. E, anche in generale, è cambiata l’attenzione di chi vive lo spazio di lavoro. Secondo lei oggi cosa si aspetta chi lo vive? E perché la scelta della sfera sensoriale in contrasto con la visione passata di questi spazi?

La concezione odierna del lavoro è figlia anche del taylorismo. Lavoriamo perché dobbiamo portare a casa dei risultati, e questo è parte del nostro lavoro. Tuttavia, il lavoro può essere anche un piacere: almeno entro certi limiti abbiamo cercato di curare il piacere di lavorare insieme.

In un certo senso, traendo ispirazione dal concetto della scholé greca, in cui era presente l’idea del condividere la conoscenza, che era quasi un privilegio ed era legata maggiormente al concetto di ozio rispetto a quello di dovere. Oggi, in un ambito lavorativo, non possiamo parlare di ozio, ma di collaborazione. E dobbiamo cercare di farlo in un luogo piacevole con persone piacevoli e relazioni umane.

Al Prisma abbiamo 130 persone fantastiche di talento che lavorano e che si impegnano moltissimo ed è importante costruire dei luoghi ricchi di significato per sviluppare questi talenti. La cura delle persone, come nel giardino, non va abbandonata. Prendersi cura è un lavoro che non finisce mai. Dobbiamo prenderci cura delle persone, così come facciamo del nostro giardino, che se lo abbandoniamo sarà distrutto. E vogliamo farlo in uno spazio che rappresenti la nostra cultura e la nostra identità.

Restando ancora sui percorsi sensoriali, per citare alcuni vostri altri progetti, parliamo degli spazi di lavoro che avete progettato per il gruppo LVHM. A suo avviso, questi che impatto hanno avuto nel modo di concepire gli spazi della produttività e sulla soddisfazione dei delle persone che ci lavorano?

I lavori per LVHM ci hanno permesso di trattare un altro concetto che poi abbiamo cercato di applicare a Il Prisma Live, cioè di quanto sia terapeutica e curativa la bellezza. Loro (il gruppo LVHM, n.d.r.) lo sanno benissimo e fa parte del loro mondo. Progettare per loro, quindi, è stato meraviglioso perché ci ha permesso di lavorare sul concetto della bellezza, ma inteso non solo dal punto di vista estetico.

Con LHMV, infatti, anche grazie alle visioni e alle intuizioni di Giuseppe Oltolini e Francesco Romboli, abbiamo lavorato sul concetto di bellezza che non è per forza perfezione, ma è senso e significato.

Una grande innovazione, ad esempio, che è nata da questa collaborazione, è stata la gestione del work cafè, uno spazio anch’esso molto libero dove si pranza assieme e che viene utilizzato anche durante il giorno come momento di incontro. Uno spazio che, inoltre, viene gestito da una cooperativa di ragazzi con la sindrome di Down, chiamata Cometa.

Essendo entrati nella sfera sociale, le chiedo del cantiere sostenibile: un progetto portato anche sui CEOforLIFE Awards, dato che mira a rendere più sostenibile ambienti come in questo caso il cantiere, ma anche ovviamente a migliorare la qualità della vita dei lavoratori.

C’è una grande contraddizione nel nostro mondo: i progetti più belli non sono necessariamente i più sani. In alcuni casi, nel corso degli anni, abbiamo visto poca attenzione e cura da parte di tanti stakeholder, nei confronti di chi svolge il lavoro di costruzione, fondamentale per il risultato finale.

Per questo motivo abbiamo sviluppato questo progetto per sensibilizzare i nostri partner e i nostri clienti, per rendere anche il cantiere un luogo curato e positivo, dove si ha attenzione per le persone. Un luogo nel quale si possa avere un momento di relax o pranzare in uno spazio decoroso. Così come abbiamo messo in risalto il tema della gestione dei rifiuti e del risparmio energetico durante la fase del cantiere, in modo da ridurre l’impatto non solo del costruito, ma anche di quello durante la costruzione.

Su questo fronte c’è tantissimo da fare, ma abbiamo percepito comprensione e sensibilità da parte dei nostri clienti.

Sta per iniziare la Round Table, quali sono i temi chiave che dovrebbero emergere oggi? Anche grazie al confronto con gli speaker che ne prenderanno parte.

Mi interessa moltissimo capire se queste nostre intuizioni, che in realtà nascono dalle interpolazioni di tanti progetti che abbiamo svolto, trovano la condivisione e l’approvazione delle aziende coinvolte.

Oggi, le aziende sentono il timore che le persone non vogliono più frequentare i cosiddetti uffici. Noi abbiamo superato questo concetto parlando di workfield perché si lavora in tanti luoghi, non solo negli uffici. Tuttavia, c’è ancora tanto timore e non consapevolezza delle possibili soluzioni.

Quest’ultime nascono dedicando ai nostri collaboratori la stessa attenzione che dedichiamo ai nostri clienti. Per questo, prima, dicevo di prendere esempio anche da altri mondi. In seguito alla pandemia, si diceva che non avremmo più viaggiato. E, invece, è successo il contrario, perché viaggiare è un’esigenza umana.

E, ricollegandoci al mondo dei viaggi, possiamo citare la re-immaginazione degli spazi e delle esperienze degli hotel, che le hanno rese più significative e più autentiche. Una delle tendenze che abbiamo riscontrato è che non ha più senso il ristorante ad uso esclusivo delle persone che pernottano nell’hotel, ma è molto più vantaggioso, per i clienti stessi e per la città, aprirlo a tutti.

Questi stimoli provenienti da mondi diversi permettono appunti di re-immaginare quello che deve avvenire perché un’esperienza lavorativa sia significativa. Tutti noi ricordiamo un capo o un professore che ci ha insegnato qualcosa perché aveva gusto, passione e capacità di coinvolgerci. Mi piacerebbe capire se questa esigenza è sentita anche dagli altri e che riflessioni stanno facendo le aziende su questi temi, per capire se sono in risonanza con le nostre, oppure cosa possiamo imparare da questo confronto.

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