Rubriche

Australia: verso 'industria 'circolare' della moda

Contro tessuti sintetici e scarti in discarica

Redazione Ansa

(ANSA) - SYDNEY, 08 MAG - Aziende leader nell'industria della moda in Australia hanno rinnovato l'appello ad applicare regolamenti più stretti sul vestiario importato dall'estero e ribadiscono che la quantità di tessuti sintetici che entrano nel paese è insostenibile. Ed è causa di un 'fashion waste problem', di inquinamento da tessili sintetici, con 227 mila tonnellate all'anno di scarti da abbigliamento. L'Australian Fashion Council guida lo sviluppo di una struttura di 'industria circolare' della moda, intesa a ridurre le centinaia di tonnellate di scarti che si accumulano oggi anno nelle discariche. Lo schema mira a incoraggiare i commercianti a disegnare vestiario prodotto con fibre naturali, oltre a promuovere il riciclaggio di tessili sia a livello di industria che tra i consumatori. Ha ricevuto di recente dal governo federale un sussidio di un milione di dollari australiani (610 mila euro) per il suo sviluppo e si prevede sarà operativo entro luglio 2024. Le aziende leader avvertono tuttavia, che l'iniziativa locale può essere compromessa dall'influenza dei colossi di fast fashion come la cinese Shein, che aggiunge ogni giorno tra 6000 e 10 mila nuovi stili al suo sito web. Con marche popolari in Australia, specie fra la generazione Z. "E' necessario allontanarsi completamente dal modello commerciale di Shein e affermare che non è accettabile", ha detto la presidente dell'Australian Fashion Council e sostenitrice della moda sostenibile Leila Naja al Sydney Morning Herald. "In Australia ci rifiutiamo l'importazione di 'droghe illecite' e abbiamo anche la capacità, come società e come governo di fermare tutto questo", ha aggiunto. Secondo le stime oltre il 52% di nuovi abiti importati in Australia nel 2019 erano in poliestere, che emette CO2 durante la produzione ed è difficile da riciclare. Il basso costo di questi indumenti incoraggia gli acquirenti a comprare più articoli rispetto a quanti ne acquisterebbero in un negozio, sottolinea Leila Naja. Oltre alla scelta di materiali, sono state sollevate preoccupazioni sulle condizioni in cui i grandi dettaglianti online di fast fashion producono il vestiario. Il rapporto di sostenibilità riporta che oltre l'80% delle fabbriche e dei magazzini hanno livelli di rischio "mediocri" o "pessimi", che richiederebbero un'"azione correttiva". Lo scorso anno l'Australia si è unita ad altri paesi introducendo una legge sulla schiavitù moderna che considera responsabile nella loro catena di forniture. (ANSA).
   

Leggi l'articolo completo su ANSA.it