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Mutilazioni genitali: da Egitto del dopo Morsi segnali più incerti

Tendenzialmente diminuisce, ma ci sarebbe ripresa nei villaggi

Emma Bonino con le partecipanti all'incontro sulla 'Cairo Declaration on Fgm+Five' svoltosi nel 2008 nella capitale egiziana

Redazione Ansa

(di Rodolfo Calò).

(ANSAmed) - IL CAIRO - Dall'Egitto, uno dei paesi in cui le mutilazioni genitali femminili sono più diffuse, giungono segnali contraddittori sul fenomeno, praticato da tempi antichissimi e bandito solo sei anni fa. Questo e' quanto emerge da varie fonti, rilanciate dai media nazionali nelle ultime settimane.

Il sito egiziano dell'Unfpa, Fondo delle Nazioni Unite per la popolazione, riferisce che - pur restando "comuni" - le mutilazioni genitali femminili stanno diminuendo nelle fasce di età più basse. Un'indagine demografica e sanitaria segnalava nel 2008 un miglioramento nell'arco dei due precedenti decenni. La responsabile di Alessandria dell'Associazione donne e svilupo (Wda), Aida Nour al-Din, a inizio mese ha segnalato però un "incremento" nelle zone rurali.

Del resto in Egitto sembra esistere un vasto cono d'ombra: una fonte del direttorato alla Salute di Qena ha detto che è difficile avere dati accurati, in quanto la pratica delle mutilazioni e dell'infibulazione avviene illegalmente. La loro criminalizzazione risale solo al 2008 e il primo caso giudiziario è di questi mesi. Mervat Tallawy, la presidente del Consiglio nazionale per le donne, ha sostenuto che le mutilazioni genitali sono state favorite indirettamente dai Fratelli musulmani nel loro anno al potere tra il 2012 ed il 2013, anche se non sono previste dall'islam. Durante quel periodo, afferma Tallawy, le operazioni "venivano offerte gratis" e il Consiglio nazionale per le donne dovette chiedere l'intervento della polizia per fermare queste iniziative.

Secondo Tallawy, durante l'anno di presidenza di Mohamed Morsi la gente "aveva l'impressione" che le autorità "avrebbero chiuso un occhio". Ora, conclude, serviranno "dai cinque ai dieci anni" per recuperare questo arretramento culturale.

L'Egitto ha una giornata nazionale contro le mutilazioni genitali femminili (14 giugno), in onore di una bambina morta a 12 anni a Minya nel 2007, vittima di questa pratica disumana.

Un'altra morte, di una ragazzina di 13 anni, fu segnalata a Daqahleya nel giugno 2013.

La ginecologa Eman Mahmoud ha ricordato che le mutilazioni genitali femminili vengono spesso praticate con mezzi inadeguati, senza anestesia, causando emorragie, infezioni, talvolta sterilità e morte. Notevoli anche gli effetti psicologici di una pratica che punta a ridurre il desiderio femminile, causando dolori duranti i rapporti o danneggiando nervi nell'area genitale: uno studio del 2008 ha stimato che l'86% dei divorzi in Egitto sono dovuti alle mutilazioni e ai loro negativi effetti sui rapporti matrimoniali.

Nour al-Din ha ricordato che le mutilazioni sono "comuni" anche nelle aree urbane, in base alla falsa credenza che si tratti di "un obbligo religioso". In realtà, uno studio demografico-sanitario del 2008 ricordava che l'infibulazione e le mutilazioni genitali sono una "tradizione" in Egitto "sin dal periodo faraonico". La religione islamica invece non prevede questa pratica e il grand imam di Al Azhar, principale autorità del mondo sunnita, nel 2006 negò esplicitamente un suo rapporto con l'Islam. (ANSAmed).

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