(ANSAmed) - TUNISI, 27 APR - "Non è totalmente illogico
pensare che la Tunisia possa dire no al prestito Fmi alle
condizioni che conosciamo": lo afferma all'ANSA Alissa Pavia,
direttrice associata per il Programma Nord Africa al Rafik
Hariri Center & Middle East Programs presso il think tank
statunitense Atlantic Council. Nell'ambito delle difficili
trattative con il Fondo monetario internazionale per lo sblocco
di un piano di aiuti da 1,9 miliardi di dollari a Tunisi, dopo
le parole del presidente Kais Saied che ha affermato che "i
diktat dall'estero che portano solo a un ulteriore impoverimento
sono inaccettabili", e che "l'alternativa è contare su noi
stessi, poiché siamo un Paese sovrano", con l'Italia che preme
in tutte le sedi, attraverso il ministro degli Esteri Antonio
Tajani per la concessione di "una prima tranche di finanziamento
per permettere alla Tunisia di cominciare a fare le riforme, e
man mano che farà le necessarie riforme si potranno dare altri
soldi", si fa strada dunque nell'opinione pubblica tunisina e
tra gli analisti la convinzione che abbia un senso rifiutare il
prestito. Almeno, alle condizioni richieste conosciute, ovvero
in cambio di riforme che comporterebbero tagli ai sussidi su
beni di prima necessità ed altri tagli strategici.
"I programmi economici del Fondo monetario internazionale
rischiano di indebolire le parti più povere della popolazione
tunisina mirando a eliminare i sussidi su certi beni di prima
necessità e sul petrolio" dice Alissa Pavia. "Secondo l'Fmi,
dato che questo sussidi non sono mirati (sopratutto quelli sulla
benzina), finiscono paradossalmente per aiutare la parte più
ricca della popolazion. Ma altri studi invece dimostrano che
sono conclusioni da prendere con molta cautela e che i sussidi
invece contribuiscono a creare una società più equa".
"Detto ciò, - sottolinea Pavia - c'è da ricordare che sono
stati i tunisini stessi a crearsi il proprio programma economico
di riforme da abbinare a un finanziamento del Fondo monetario, e
che sono stati loro a proporre tagli ai sussidi".
"Ci sono altre opzioni percorribili, ma richiederebbero più
tempo" continua Pavia. "Se i tunisini dovessero decidere di non
voler accettare gli aiuti del Fondo, avrebbero a disposizione
più o meno 8 miliardi di dollari miliardi in riserve straniere
che potrebbero utilizzare per cominciare a ripagare i creditori.
Nel frattempo potrebbero implementare delle riforme fiscali e
monetarie con l'aiuto della Banca Mondiale e altre istituzioni,
come ad esempio riformare il sistema di tassazione per renderlo
più equo".
"Tutto questo - conclude Pavia - potrebbe evitare di dover
indebitarsi nuovamente con il Fondo, ed evitare di tagliare
sussidi su beni di prima necessità". (ANSAmed).
Leggi l'articolo completo su ANSA.it
'Non è illogico pensare che Tunisi rifiuti il prestito Fmi'
Intervista a Alissa Pavia, analista Usa dell'Atlantic Council