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Una tendopoli a Rafah, tra paure e sollievo

Organizzata da Mezzaluna Rossa, sfollati temono restarci a lungo

Redazione Ansa

(di Sami al-Ajrami)

RAFAH - All'estremità sud della Striscia di Gaza, tra le dune di sabbia di Rafah a un chilometro dal mare, si stagliano trecento tende bianche. Sono il primo nucleo di una tendopoli allestita dalla Mezzaluna rossa palestinese assieme con quella egiziana per i palestinesi sfollati dal nord e dal centro della Striscia. E' il primo segnale tangibile dell'impegno umanitario per quella marea di persone in costante fuga che nella sola Rafah ha ormai superato il milione. La struttura porta loro un po' di sollievo ma sono in molti a pensare, e temere, che chi vi farà ingresso sarà destinato a restarci per molto tempo.

La tendopoli dista tre chilometri dal centro urbano: un tragitto dove le automobili faticano ad avanzare, con il tratto di strada ormai invaso in tutta la sua lunghezza da una moltitudine umana senza un tetto o un posto dove andare, in cerca di qualche pezzo di legno per accendere un fuoco o intenta a fare piccoli acquisti da bancherelle improvvisate in mezzo alla strada. Superata quella calca umana, raggiunta la strada costiera che porta a Khan Yunis, si raggiunge la tendopoli umanitaria. "Al momento abbiamo eretto le prime 300 tende - dice all'ANSA Abdul Aziz Abu Eishe, il direttore del dipartimento per le emergenze della Mezzaluna rossa palestinese -. Potranno ospitare 1.500-1.700 persone''.

Attorno al recinto si nota personale di sicurezza della Mezzaluna Rossa, rafforzato da agenti della polizia: servono controlli e sicurezza perché in passato ci sono stati tentativi di infiltrazione e di furti. Intanto si lavora al completamento della struttura, che ancora non è stata aperta. "Il nostro progetto - prosegue Abu Eishe - prevede la costruzione complessiva di 1.200 tende, per settemila profughi".

Camion giunti dall'Egitto continuano a scaricare materiale.

Già si vedono i magazzini pronti a contenere gli aiuti umanitari e i generatori che forniranno corrente elettrica. La questione più delicata riguarda la selezione di quanti - fra le centinaia id migliaia di persone che vagano per le strade di Rafah - potranno lasciare i locali fatiscenti in cui hanno vissuto nelle ultime settimane, per passare in questa tendopoli razionale, dotata di acqua corrente e di servizi igienici. A quanto pare i primi ad essere ospitati saranno quanti (circa 14 mila) già si trovano a Rafah in strutture della Mezzaluna Rossa, che da tempo hanno superato la capienza massima.

'La previsione - conferma Abu Eishe - è che chi verrà a stare qui dovrà restare per diversi mesi. Sono persone che a causa della guerra hanno perso tutto, compresa la loro casa e che non sanno a chi rivolgersi".

Intanto a Rafah rimbalzano le notizie del ridispiegamento di Israele nel nord della Striscia, lette da alcuni come uno spiraglio di speranza di poter tornare a Gaza City o nelle località vicine. Di un esodo in direzione opposta rispetto a quella presa ad ottobre. Ma gli abitanti di Rafah vedono con preoccupazione questa svolta: "Se Israele consentirà agli sfollati di tornare a nord - dicono in molti - vorrà dire che l'esercito vuole svuotare questa zona per marciare verso l' 'Asse Filadelfia', il termine militare che indica il confine fra Gaza ed Egitto.

La vita in una Rafah invasa da masse di sfollati è e resta comunque dura: la benzina al mercato nero costa 120 shekel (30 euro) al litro, lo zucchero 50 shekel al chilogrammo ed è introvabile. "Ma un ingresso in forze dei carri armati israeliani - aggiungono in molti - sarebbe molto più traumatico".

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