Rubriche

Restart, la Tunisia riparte dall'imprenditoria di giovani e donne

Sito Cospe racconta i protagonisti dell'alternativa all'emigrazione

Redazione Ansa

TUNISI - Dall'olio di oliva di Nara, marchio che prende il nome da un'antica città romana per lanciare sul mercato l'orgogliosa identità di una regione ora tra le più povere della Tunisia, ai pannelli fotovoltaici realizzati da una donna ingegnere per metterli al servizio dell'agricoltura nel governatorato di Sidi Bouzid - quello da dove ebbe inizio la rivoluzione del 2011. Dal recupero della tradizione artigianale arricchita di discreti accenni di moderno design alle diverse iniziative per coinvolgere le comunità locali in pratiche virtuose per la raccolta dei rifiuti e di difesa dell'ambiente, o per fornire spazi pubblici attrezzati di aggregazione sociale.

Sono solo alcune delle iniziative e delle imprese nate negli ultimi tre anni grazie al progetto "Restart Tunisie" guidato da Cospe, Ong con sede a Firenze che ha coinvolto un ampio consorzio di partner in cinque regioni della Tunisia.

Restart - finanziato dall'Agenzia italiana per la cooperazione allo sviluppo (Aics) - è un acronimo per Riqualificazione Ecologica e Sociale dei Territori Attraverso il Rilancio dell'imprenditoria dei giovani in Tunisia. Il progetto, giunto ormai a conclusione, viene illustrato nel nuovo sito "Restart Tunisie" (https://tunisia.cospe.org/restart/), che non solo racconta queste e altre storie di start-up e imprenditori, ma illustra con testi di approfondimento il contesto socio-economico in cui sono nate, la situazione attuale dell'economia tunisina e le sfide aperte per la tutela ambientale. Solo sullo sfondo resta il tema dell'emigrazione, perché i protagonisti di Restart Tunisie hanno appunto scelto di rimanere in patria, anche se per molti di loro - grazie a studi universitari e competenze - sarebbero relativamente facile andare per vie legali in Europa o in Canada.

Nei luoghi dove la crisi economica è più forte, si legge sulla homepage del sito presentato nei giorni scorsi a Tunisi, il progetto Restart "ha sostenuto i poli territoriali per la promozione dell'economia sociale e solidale e rafforzato gli spazi di incubazione e innovazione di impresa e delle reti di imprese sociali". E ha puntato a fornire soluzioni alla marginalizzazione lavorativa e sociale dei giovani e "al diffuso senso di alienazione nelle nuove generazioni nei confronti delle loro comunità e del territorio", offrendo "alternative di sviluppo sostenibile che nascono dal basso". Una delle chiavi del progetto sta nella scelta non solo di puntare sulle donne e sui giovani, ma anche di sostenere i loro progetti con percorsi formativi e di accompagnamento in tutte le fasi della nascita dell'impresa, dalla difficile ricerca dei crediti bancari fino alle prime strategie operative e commerciali. I prestiti internazionali e i fondi per la cooperazione allo sviluppo, che pur hanno accompagnato la nuova Tunisia nell'ultimo decennio post- rivoluzionario, sono infatti necessari ma non sufficienti per avviare processi di sviluppo virtuosi, capaci di avere effetti tangibili e duraturi nel tessuto economico e sociale. Da qui la necessità, secondo i promotori, di una rete di sostegno formata da università, istituzioni e reti dell'associazionismo locale, oltre che da esperti con conoscenza diretta della realtà sul terreno. Uno di questi è Khaled Allumi. "La Tunisia non andrà a picco grazie alla preparazione dei suoi giovani - dichiara in un'intervista riportata sul sito - ma l'Europa avrebbe più vantaggi nell'aprire le porte con visti temporanei invece che chiuderle". Tanto che, aggiunge, dovrebbe perfino "pagare la Tunisia per aver curato la formazione dei giovani più qualificati che scelgono di emigrare, come fanno le squadre di calcio che acquistano i campioni".

Leggi l'articolo completo su ANSA.it