ROMA - Lavorare in un ospedale a Gaza è come trovarsi a dover salvare vite "con le mani legate dietro la schiena e gli occhi bendati": lo afferma Jamal Imam, medico di Save the Children, nel giorno della Giornata Mondiale dell'Aiuto Umanitario. Tornato a Gaza nel 2010 dopo averla lasciata da bambino e in seguito a un'esperienza in Sudan e negli Emirati Arabi, Imam negli ultimi 14 anni ha lavorato con varie organizzazioni internazionali dedicandosi, in particolare, alla salute e alla nutrizione dei bambini.
I palestinesi, e i bambini in particolare - racconta il medico - sono "privati dei bisogni più elementari per la sopravvivenza, e noi siamo senza gli strumenti essenziali per salvare vite umane, dalle forniture mediche ai materiali di cui abbiamo bisogno per fare il nostro lavoro". "L'elettricità è stata tagliata dall'inizio della guerra - ricorda -. Riceviamo un po' di energia da qualche pannello solare qua e là, che è appena sufficiente per caricare una batteria o fornire un'illuminazione minima. Internet è altrettanto inaffidabile...
I bombardamenti hanno distrutto le reti idriche, rendendo fuori servizio gli impianti di desalinizzazione e le centrali elettriche... Anche il cibo è diventato estremamente scarso".
"Sogno la fine di questa guerra e che i responsabili dell'uccisione e dello sfollamento di bambini e famiglie siano chiamati a risponderne. Sogno che qualcuno, da qualche parte - conclude il medico -, si impegni a porre fine a questa guerra e a restituirci le nostre vite".
Medico di Save the Children, 'a Gaza è come operare legati e bendati'
'Mancano gli strumenti essenziali per salvare vite umane'