(di Alessandra Magliaro)
(ANSA) - MARATEA, 26 LUG - Le aspettative che "diventano un
carico di 100 kg sulle spalle", l'abbandono del nuoto dopo una
gara persa e la sensazione che "lo sport anziché gioia era
diventato una gabbia", il primo provino della vita, quello per
la fiction sui fratelli Abbagnale, e il crollo psicologico che
convinse il regista Stefano Reali a prendere quel giovane attore
bello e sconosciuto. E poi ancora il sogno americano e la
popolarità in Italia ormai da anni.
"Ho fatto la prova costumi a Parigi in un contesto produttivo
gigante e però curatissimo. Poi le riprese a Roma. La prima
scena? A letto con Philippine Leroy-Beaulieu, la boss Sylvie
dell'agenzia, così tanto per rompere il ghiaccio", racconta
all'ANSA Bova. "Ero terrorizzato, lei è stata divertente,
abbiamo scherzato e tutto è andato bene da quel momento in poi.
Certo un po' di stereotipo c'è: io interpreto Giancarlo, un
regista pubblicitario italiano con cui Sylvie si rilassa, si
sente libera, sorridente, sono il suo detox, ma Emily in Paris è
una serie leggera e divertente e non si può chiedere altro se è
un successo globale", aggiunge della saga con Lily Collins
attesa su Netflix dal 15 agosto in cui è una new entry (con Anna
Galiena ed Eugenio Franceschini).
Dalla serie global a quella iper nazional popolare di Don
Matteo, la cui 14/a stagione arriva su Rai1 dal 17 ottobre ed è
la prima in cui Bova è titolare a tutti gli effetti (è entrato
nella quinta puntata della 13/a): c'è un Don Massimo al posto
del prete in bici storicamente interpretato da Terence Hill.
"Non vorrei dire, ma questa serie è venuta molto bene, con temi
interessanti come è caratteristica di questa fiction così tanto
amata, capace, forse è il segreto di una ventennale longevità,
di essere un orologio sempre al passo con il tempo. In questa
stagione - prosegue Bova - c'è il nuovo capitano Eugenio
Mastandrea ed entra in gioco Federica Sabatini che interpreta
mia sorella. Si comincia a sapere qualcosa di più del personale
vissuto di don Massimo, c'è un tema familiare e un tema più
grande che riguarda il perdono e la capacità di sapersi mettere
in discussione e comprendere il prossimo. Sono entrato nella
13/a stagione un po' in sordina rispetto ad una macchina da
guerra come don Matteo e ora comincio a sentirmi vicino il
personaggio. Cosa mi piace più di tutto? Il suo essere
intergenerazionale".
L'occasione della masterclass nel festival diretto da Nicola
Timpone è anche quella di guardare il passato, testimoniando ai
tantissimi giovani che lo ascoltano una grande tenacia. "Il
destino che avevo progettato, quello di campione, di nuovo si è
infranto sotto il peso di tutte quelle aspettative mie, di mio
padre, del mio allenatore. Avevo bisogno di supporto più morale
che fisico, la voglia di gareggiare era un'ossessione, soffrivo
il giudizio, quell'ansia incredibile, ci sono voluti anni per
riappropriarmi dello sport come gioia. Era una gabbia dalla
quale scappare ma avevo paura di deludere soprattutto mio padre.
Dopo aver perso la gara della vita ho abbandonato, mi ha salvato
il cinema. Andai ad un provino e anziché farlo crollai
psicologicamente davanti al regista, raccontando tutto il mio
dolore, fu una liberazione e ancora oggi ringrazio Reali per
avermi ascoltato, lo colpii talmente sul piano umano che mi
diede il ruolo di protagonista, sarei stato un ragazzo perso per
strada come capita a tanti. Ma lì - ha raccontato Bova - è
cominciata anche la mia determinazione: da quel giorno mi sono
sentito fortunato, un prescelto senza merito e quindi decisi di
recuperare studiando come un matto recitazione per anni, ed è
così che piano piano nel tempo, tra successi e delusioni come
succede a tutti ho cominciato a far pace con me stesso, scoprire
questo mondo senza l'ansia di vincere che mi portavo dietro
dallo sport. Come? Quando ho capito che per essere me stesso
dovevo essere meno severo con me stesso, ascoltarmi, accettarmi
senza fare quello che gli altri si aspettavano da me".
E ha fatto i conti con la sua bellezza, "se ancora mi si fa
questa domanda che era un classico 15 anni fa, ringrazio
commosso", scherza. Anche con l'esperienza americana si è
riappacificato: "Avevo investito tantissimo, casa, agenzia Caa,
scuole, coach, lezioni cinque ore al giorno, provini. La grande
occasione mi capitò per Tomb Raider, Angelina Jolie faceva il
tifo per me, avevo la parte in tasca ma feci un provino da
schifo, dimenticando tutte le battute. Gerard Butler fu preso al
mio posto. Restano i racconti di quel periodo per divertire gli
amici".
Lezioni per il futuro: "Fare questo lavoro bene, con
responsabilità ma senza paura. Con le aspettative ho chiuso:
diventano un carico di 100 kg sulle spalle e poi viene il mal di
schiena". (ANSA).
Raoul Bova, 'la sfida più difficile essere me stesso'
A Marateale, dal nuoto-ossessione a Emily in Paris e Don Matteo