(ANSA) - CATANZARO, 02 DIC - Alle prime ore di questa mattina, i Carabinieri del Gruppo di Gioia Tauro, con il supporto operativo di personale dello Squadrone Eliportato Cacciatori di Calabria e di unità cinofile, hanno eseguito due ordinanze di custodia cautelare in carcere nei confronti di altrettanti soggetti - padre e figlio -, ritenuti inseriti nel contesto di 'ndrangheta del centro medmeo, ed in particolare vicini al contesto criminale rosarnese della cosca Pesce. Il padre risulta anche gravato da due precedenti condanne passate in giudicato.Le persone arrestate sono Domenico Arena, di 69 anni, già condannato in via definitiva per associazione mafiosa, e suo figlio Rosario, di 44, ritenuti vicini alla cosca di 'ndrangheta Pesce di Rosarno.
Le indagini da cui scaturiscono i provvedimenti restrittivi, emessi dal gip del Tribunale di Reggio Calabria, su richiesta della locale Direzione Distrettuale Antimafia, diretta da Giovanni Bombardieri, hanno consentito di attribuire agli indagati, allo stato degli atti gravi condotte estorsive - perpetratesi per lungo tempo- e violenze private, tutte aggravate dalle finalità mafiose, avvenute a Rosarno e Cinquefrondi. Le attività svolte dai Carabinieri di Gioia Tauro, e testimonianze di diversi collaboratori di giustizia, hanno permesso di evidenziare l'elevata capacità criminale degli arrestati, espressa in molteplici occasioni con metodologie tipiche degli aggregati mafiosi, imponendo il proprio volere, tramite una generale condizione di assoggettamento ambientale, su individui ed attività commerciali piegati alle loro esigenze ed oppressi dalla loro ingerenza. Il loro modus operandi, affiancato al ripetuto ricorso ad intimidazioni - di natura fisica e verbale - si è sostanziato in una perdurante sopraffazione ed interferenza in un'attività economica nella Piana di Gioia Tauro, nonché nella limitazione della libertà di autodeterminarsi di più persone. Dalle indagini è emerso che un medico è stato costretto, sotto minacce, a redigere un falso certificato medico per consentire ad un indagato di eludere il carcere e una cooperativa che per 18 anni è stata costretta a pagare quello che era diventato, di fatto, uno stipendio mensile pur in assenza di un rapporto di lavoro. Sono due episodi contestati dalla Dda di Reggio Calabria a Domenico e Rosario Arena. Per entrambi l'accusa è estorsione e violenza privata, aggravati dalle modalità mafiose. Nell'inchiesta sono indagati altri due soggetti dello stesso nucleo familiare: la figlia e sorella degli arrestati, Angela Arena (46) e il marito di lei Giuseppe Valenzise (53). Secondo gli inquirenti, tutti avrebbero imposto il proprio volere tramite una generale condizione di assoggettamento ambientale. Le indagini dei carabinieri, che riscontrano tra l'altro le dichiarazioni di alcuni collaboratori di giustizia, hanno consentito ai pm di fare luce su alcune estorsioni consumate tra Rosarno e Cinquefrondi. Come quella ai danni della cooperativa agricola "Fattoria della Piana" di Candidoni e che, nel tempo, secondo gli investigatori, è diventata una vera e propria fonte di reddito illecito della famiglia. Negli ultimi 18 anni, infatti, i due arrestati avrebbero imposto all'amministratore della cooperativa, il pagamento di somme periodiche "come prezzo della possibilità di svolgere l'attività di impresa". Il titolare della "Fattoria della Piana", in sostanza, doveva consegnare a Rosario Arena una sorta di stipendio mensile comprensivo di tredicesima nel periodo delle festività natalizie. Una parte dei guadagni dell'attività di ristorazione e della produzione di biogas, invece, sarebbero stati versati agli altri figli di Domenico Arena che avrebbe ottenuto pure un paio di assunzioni di persone che godevano della sua protezione. Grazie alle intercettazioni telefoniche e ambientali, la Dda ha scoperto anche le numerose minacce subite dal medico con lo scopo di ottenere un certificato che sarebbe servito per eludere il carcere e usufruire del beneficio degli arresti domiciliari. Alla vittima era stato chiesto di redigere una relazione che attestasse l'impellente necessità per Domenico Arena, all'epoca detenuto, di effettuare un intervento chirurgico ed il successivo trattamento di riabilitazione neuro-motoria. Altre minacce sono state rivolte all'ex moglie di Rosario Arena. La donna avrebbe subito pressioni ed angherie finalizzate, tra l'altro, ad indurla sia a riavvicinarsi al contesto familiare, dal quale si era discostata con la separazione, sia a partecipare alle attività criminali della famiglia. "Le condotte e la personalità mafiosa degli Arena in uno alla loro elevatissima pericolosità sociale non lasciano dubbi sulla necessità cogente dell'applicazione ai predetti della massima misura custodiale" ha scritto il gip per motivare l'arresto di Domenico e Rosario Arena.
Nelle carte dell'inchiesta sulla cosca Pesce di Rosarno, che stamattina ha portato all'arresto di Domenico e Rosario Arena, padre e figlio, ci sono le minacce subite dall'ex moglie di quest'ultimo che si è rivolta ai pm della Dda di Reggio Calabria a cui ha raccontato le angherie subite dalla famiglia del marito dopo che ha deciso di interrompere la loro relazione.
Secondo gli inquirenti, mentre era ancora detenuto, attraverso i figli, Rosario Arena avrebbe detto all'ex moglie che, una volta scarcerato, "avrebbe sistemato tutto". Suo padre Domenico Arena, invece, utilizzando un falso profilo Facebook, avrebbe pubblicato frasi indirizzate alla donna sulla cui bacheca il suocero avrebbe scritto "dovrai morire di fame" e, successivamente, in uno scambio di messaggi "le offriva la somma di 100mila euro se fosse tornata a vivere con il figlio".
"Della famiglia Arena - ha dichiarato la vittima ai pm - so che non hanno mai lavorato onestamente. In generale già durante la mia vita matrimoniale ho subito numerose volte minacce del mio ex suocero e dal mio ex marito, che mi hanno più volte detto che per me era già pronta la ruspa, volendo intendere che mi avrebbero appunto uccisa e seppellita. Quando ho lasciato Rosario (l'ex marito, ndr), il 13 novembre 2018, Arena Domenico,
il mio ex suocero, mi ha detto che sarebbe venuto sotto casa, avrebbe distrutto tutto e ci avrebbe uccisi, infatti ho denunciato questo evento presso la tenenza di Rosarno".
La vita matrimoniale della vittima - si legge nell'ordinanza - "è stata improntata a pressioni psicologiche continue, in quanto il suocero ed il marito pretendevano che lei, come le altre nuore, prendesse parte attiva agli affari
illeciti della famiglia, tra cui il traffico di stupefacenti, e che avesse con il suocero atteggiamenti sessuali promiscui e confidenziali.
Ai pm la donna ha dichiarato: "Ricordo che mio suocero proponeva a noi donne della famiglia di occuparci della coltivazione di sostanza stupefacente. Mio marito mi chiamava 'pentita'… mi alzava le mani addosso, mi abbandonava 3-4 notti, e diceva che se ne andava per colpa mia".