(ANSA) - NAPOLI, 29 SET - L'arresto dell'ex primula rossa del clan dei Casalesi Michele Zagaria nel bunker di Casapesenna, dopo 15 anni latitanza, rappresenta l'epilogo di "una complessa attività di intelligence" che, però, "ha peccato in executivis, risultando nella sua ultima parte confusa, imprudente, a tratti imperita e persino inquietante". E' duro il giudizio espresso dai giudici del Tribunale di Napoli Nord che analizzano le fasi precedenti e successive la cattura del boss nelle motivazioni della sentenza con la quale hanno condannato (a sei anni e sei mesi di reclusione) il poliziotto Oscar Vesevo per l'appropriazione di una pen drive trovata nella villa di Casapesenna (Caserta) dove c'era il bunker.
"Dimostrato è che l'operazione di Polizia - scrivono i giudici - si svolse fin dall'inizio nel bailamme per poi degenerare in un'operazione caotica e festante, quando si ebbe certezza della presenza del latitante". Un'operazione che "rischiò di fallire" visto che venne meno quasi subito "l'assoluta segretezza che doveva proteggerla" con l'arrivo la mattina del 7 dicembre, nei pressi della casa individuata, delle volanti della Polizia del Commissariato locale, "in alcun modo interessato dal dispositivo discusso nelle ore notturne antecedenti".
"Chi avvisò i poliziotti che di lì a poco si sarebbe compiuto il rilevante atto di indagine non è stato accertato", scrivono i giudici del Tribunale di Napoli Nord. "Alcuni testimoni, il Morabito su tutti (all'epoca capo della Squadra Mobile di Caserta) - spiega il collegio - hanno descritto la totale confusione che regnava nell'abitazione, con una quarantina di persone presenti mentre ce ne sarebbero dovute essere 15-20". "Tanta fu la calca che Morabito, - viene evidenziato - che pure avrebbe dovuto scendere nel bunker, decise di non farlo (Vesevo scese tra i primi). Quando si ebbe certezza che Zagaria c'era, affluirono tante persone e arrivarono anche i magistrati della Dda, il cui ruolo nell'arresto del latitante fu essenzialmente di rappresentanza, non di certo operativo". E nel caos "tutti volevano portare con sé, se non altro come ricompensa per le numerose ore di lavoro impiegate, un pezzo, anche solo una memoria della cattura".
Cattura Zagaria: pendrive presa da agente "ludopatico"
Un poliziotto "efficace e capace", "decisivo nel rinvenimento del nascondiglio di Michele Zagaria", ma anche "un soggetto ludopatico e truffaldino" nella sua "parallela vita laica", circostanza che ha avuto "indubbi riflessi nel compimento dei suoi doveri istituzionali". E' il severo giudizio, che al netto dei meriti investigativi, emerge dalle motivazioni della sentenza con cui il tribunale di Napoli Nord ha condannato il poliziotto Oscar Vesevo a sei anni e due mesi per l'appropriazione di una pen drive dall'abitazione di Casapesenna (Caserta) dei coniugi Inquieto-Massa, dove c'era il bunker nel quale il capo dei Casalesi fu stanato dopo 15 anni di latitanza. Vesevo (difeso dall'avvocato Giovanni Cantelli) è stato condannato anche per due truffe commesse ai danni di persone che gli avevano prestato dei soldi con cui poter alimentare il vizio del gioco. Nelle motivazioni della sentenza di condanna il collegio (presieduto da Agostino Nigro e composto dai giudici Carlotta De Furia e Ilaria Chiocca) fornisce contestualmente una rilettura dell'operazione che portò alla cattura di Zagaria, il 7 dicembre 2011. La vivandiera Rosaria Massa, condannata per favoreggiamento, sottolineò che "nella sua abitazione fu compiuta una razzia di accessori e oggetti mondani". "Tutto ciò - osserva il collegio - contribuì a creare un irresponsabile clima di anarchia nelle operazioni di arresto e sequestro, quel clima nel quale Vesevo si impossessò di una pen drive Usb". Quella pennetta, che secondo la Dda conteneva i segreti del boss, mai ritrovata, e che sembra appartenesse alla figlia di Inquieto e Massa che vi aveva inserito file musicali e foto, non compare in alcun verbale di sequestro. "Nessuna momoria usb - viene evidenziato dai giudici - è stata sequestrata, ufficialmente, all'atto dell'arresto di Zagaria; i verbali di sequestro acquisiti sono scarni ed appaiono al collegio del tutto incompatibili con l'esigenza di approfondimento derivante dalla cattura del più ricercato camorrista degli ultimi 30 anni; non si riporta nei verbali alcuna menzione dei libri, quaderni, indumenti, oggetti atti a contenere pizzini, modo tradizionale di comunicazione tra latitanti e affiliati liberi". Il tribunale esclude che nell'abitazione di Casapesenna vi sia stata "una sorta di razzia punitiva; più realistico è affermare che gli atti siano stati redatti in maniera sommaria, disattenta, negligente, giacchè è illogico ritenere che, a bocce ferme, nei confronti di Zagaria non sia stato sequestrato persino il più misero e apparentemente insignificante oggetto personale". L'ultima critica riguarda lo stesso ruolo attribuito a Vesevo dai superiori nelle indagini sulla cattura di Zagaria; i giudici ritengono infatti che "sarebbe stato opportuno", prima di dare al poliziotto un ruolo tanto decisivo, "un approfondimento sullo stile di vita di Vesevo, soggetto sensibile e fragile, che poteva essere adescato da corruttori e intraprendere azioni personali per risanare un tornaconto individuale compromesso".
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