Il progetto ha setacciato le acque in due zone pilota delle coste della Sardegna: l''area marina protetta del Parco dell'Asinara, e l'area marina protetta di Capo Carbonara, la prima a nord e la seconda a sud dell'isola.
I risultati, presentati oggi a Porto Torres, sono inquietanti. Il mare ha restituito di tutto: reti a strascico, attrezzi da pesca persi o abbandonati, lenze, tramagli, nasse, lattine, bottiglie in vetro e plastica, pneumatici. Una distesa di rifiuti che era sparsa sui fondali, da anni.
In una prima fase le due aree marine sono state caratterizzate in termini di biodiversità, individuati i rifiuti e valutato il loro impatto sull'ambiente. Sono stati eseguiti anche campionamenti delle microplastiche e il prelievo di biopsie sui cetacei.
Nel Golfo dell'Asinara sono stati trovati mediamente 97 oggetti per kmq , con un massimo di 732 oggetti/kmq, ma in alcune cale (4 su 37) nessun rifiuto è stato rilevato. Il valore risulta basso se confrontato con altre aree italiane del Mediterraneo, dove sono stati condotti monitoraggi simili: per esempio, nel Golfo di Venezia sono stati trovati mediamente 567/576 oggetti/kmq in monitoraggi svolti tra il 2014 e il 2015.
Nella seconda fase del progetto, con la collaborazione del nucleo Carabinieri subacquei e dei pescatori, sono stati raccolti i rifiuti, complessivamente 2 tonnellate.
Nella terza fase era previsto l'avvio dei rifiuti al riciclo, ma per gran parte di ciò che è stato recuperato era impossibile un riutilizzo proprio perché compressa dal tempo e colonizzatgi da diversi organismi. L'unica strada è stata quindi quella dello smaltimento. (ANSA).
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