La pizza è icona della tradizione gastronomica italiana. Nel 2017 è stata riconosciuta come Patrimonio dell’Unesco.
E mentre Da Michele, l'antica pizzeria di Napoli è sbarcata anche a New York , a Milano lo chef di Lievità Giorgio Caruso racconta come la narrazione sulla pizza alta napoletana sia stereotipata e in realtà dipenda da tradizioni e zone "Nel quartiere di Materdei (Pizzeria Starita) la pizza è da sempre con cornicione molto pronunciato. Da "Antica Pizzeria Da Michele" nel quartiere Forcella la pizza si presenta con cornicione più basso. Tutta la zona dei Tribunali invece sforna la pizza "a ruota di carretta" una pizza con cornicione basso, grande diametro e stesa molto sottile. Fra queste come tipologia possiamo dire che Lievità somiglia alla pizza di "Antica pizzeria da Michele". La grande differenza nel nostro caso - racconta Caruso che sta spopolando a Milano con le sue pizze cult rivisitate come la Verdeoro e Papaccella, con fiordialatte di Agerola, alici di Cetara e altre bontà golose - la fa la lunga maturazione e l'utilizzo di farine grezze e poco raffinate macinate a pietra.".
A Roma si trova di tutto, ma è chiaro che "alla romana" è per tradizione la fina fina. “Attualmente sembra che non si possa fare una pizza con almeno sette righe di ingredienti, un po’ come se si dovesse per forza puntare sulla sua complessità e non sulla sua essenza vera e propria, cioè quella di essere ‘semplicemente’ una pizza” – dice Mirko Rizzo, pizzaiolo che ha steso la carta del locale L'Elementare a Trastevere. “Per me la pizza è essenzialità, ma soprattutto ‘ricordo’ e ‘rispetto’. Le pizze de L’Elementare sono generalmente preparate con al massimo tre ingredienti base; e per quanto sin dal primo morso possono far pensare alla pizza romana “di una volta”, sono frutto di tecniche e scelte del tutto contemporanee. “Sarebbe impensabile mangiare la stessa pizza che si mangiava negli anni ’80 o ’90 – spiega Rizzo – quello che chiamiamo ‘tradizione’ non è immutabile né per forza giusta. Prima la pizza romana si faceva in sole due ore, ma questo non vuol dire che oggi dobbiamo seguire lo stesso procedimento, perché non dobbiamo confondere la tradizione con l’inconsapevolezza. Fortunatamente negli anni la cucina e la pizzeria si sono evolute e ora tocca a noi, pizzaioli di oggi, migliorare il prodotto pur rimanendo nel solco delle memorie gustative”.La pizza de L’Elementare - Roma viene preparata con 24 ore di lievitazione, utilizzando pochissimo lievito, farine di alta qualità – poco raffinate e a basso contenuto proteico – provenienti da un molino umbro (Molini Fagioli), e alla fine, prima di condirla e di infornarla nel forno a legna, viene stesa con il mattarello per renderla sottile al punto giusto. Tra Le Speciali del menù invernale Zucca in Fiore (crema di zucca arrosto, fiordilatte, fiori di zucca, cacio fiore di pecora, zucca confit, nocciole tostate e maggiorana) e Spore e Radici (fiordilatte, ragout di funghi, lonzino, fonduta di taleggio, topinambur croccante e mentuccia),
A Napoli regna Diego Vitagliano al top nel mondo 2022. La sua pizza è leggera e altamente digeribile, morbida con un po’ di croccantezza, realizzata con un impasto indiretto con prefermento di tipo 1 bio, una lievitazione di 36 ore, alta idratazione e un bassissimo quantitativo di sale. E dopo Napoli, Pozzuoli e Doha, il pizzaiolo napoletano approda a Roma con il suo nuovo locale 10 Pizzeria Diego Vitagliano a febbraio.
Sua altezza la pizza, alta, fina fina, contemporanea
Chi ha detto che a Napoli è alta? Dipende dalle zone