La Fashion Week di Londra si è aperta all'insegna dei timori per la Brexit. Anche l'industria britannica della moda è preoccupata per una possibile uscita hard dall'Ue, una "Brexit no deal", e ha sfruttato l'inaugurazione per far sentire forte la sua voce. Nel corso della cerimonia di apertura, di quella che potrebbe essere l'ultima edizione prima del divorzio ufficiale da Bruxelles, Stephanie Phair, presidente del British Fashion Council, ha preso la parola per ribadire che l'industria sta esortando il governo britannico a trovare un accordo prima di lasciare i 27. Il British Fashion Council aveva già fatto sentire la sua voce il 2 settembre scorso chiedendo a Boris Johnson di trovare un'intesa con Bruxelles per garantire il futuro della moda britannica e invitandolo a non introdurre politiche migratorie troppo restrittive che chiudano le porte del Paese ai molti talenti stranieri e alla manodopera specializzata di cui il settore creativo ha bisogno. Stephanie Phair ha ribadito che secondo le stime un no deal costerebbe nell'immediato al mondo della moda ben oltre 800 milioni di sterline (circa 1 miliardo di dollari). La brusca flessione sarebbe da imputare al fatto che, con un taglio netto dall'Ue e dal mercato unico europeo, il Regno dovrebbe attenersi alle regole commerciali del Wto. Per questo Phair è tornata ad sollecitare il governo a negoziare un accordo che garantisca "la salute e la crescita costante dell'industria fashion". Un'industria che del resto non si tira indietro, malgrado gli allarmi del contesto politico. E che per i prossimi 5 giorni si concentrerà sulle nuove tendenze, le collezioni, i colori, le stoffe e gli accessori della prossima stagione. A sfilare nomi simbolo del made in Britain come Burberry, Christopher Kane o Victoria Beckham. Grande attesa poi per la passerella di beneficenza di Fashion for Relief con Naomi Campbell.
Alla cerimonia d'inaugurazione gli attivisti di Extinction Rebellion, movimento ambientalista radicale che si batte per denunciare l'insufficiente azione dei governi contro i cambiamenti climatici e a favore della biodiversità, hanno inscenato la loro protesta: per denunciare il contributo che anche il business della moda dà alla crisi climatica ed ecologica.
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