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Moda made in Italy, la ricetta per ripartire in tre punti

Gradualità, sicurezza e puntare al reshoring riportando produzioni nel paese

Redazione Ansa

La moda italiana e la sua filiera, unica al mondo per la qualità dei prodotti, è quasi del tutto ferma da un mese e mezzo circa. E' necessario ripartire per non perdere la leadership, ma con nuove regole per la sicurezza nelle aziende ed anche con nuove strategie, magari approfittando della situazione per riportare in Italia produzioni che si facevano all'estero (reshoring), senza perdere tempo, per non minare per sempre la preziosa filiera italiana, fatta anche di migliaia di piccole imprese e di artigiani.  "La moda è una filiera stagionale. Ci sono date importanti, non comprimibili - ha detto  il presidente della Camera Nazionale della Moda Italiana, Carlo Capasa intervenendo a L'Italia che investe su Corriere.it - noi dobbiamo presentare le collezioni a giugno per venderle, prepararle e consegnarle alle boutique di tutto il mondo. Non dimentichiamo che ieri in Cina a Canton, ha riaperto la boutique di Hermes, incassando la cifra record di 2,5 milioni di dollari".    "Si riparte tutelando la salute - sottolinea Matteo Lunelli che con Altagamma riunisce 107 eccellenze del made in Italy -. Devono riavviarsi le piccole imprese e settori come il design, completamente bloccati da un mese e mezzo. Gli associati di Altagamma, Camera Moda e Confindustria Moda vogliono ripartire rispettando le regole, gradualmente".    "Lo smart working va benissimo per la parte commerciale e amministrativa delle imprese - spiega  il presidente di Confindustria Moda Claudio Marenzi (Herno)- ma la produzione va fatta sul campo. Insisto sul tema sicurezza perché abbiamo firmato in Confindustria un protocollo con i sindacati, che poi verrà discusso con il comitato scientifico e con il Mise. Ma abbiamo una filiera unica al mondo e stiamo fermi. In Spagna, Turchia, Portogallo, hanno continuato a lavorare, in sicurezza certo. Qualcuno potrebbe cominciare a pensare di produrre fuori abbandonando la filiera italiana. Se non ripartiamo subito rischiamo di perdere il supporto del made in Italy, la filiera. Tra la bolla 1998 - 2008 abbiamo perso centinaia di migliaia di addetti ai lavori. Se la filiera la perdi è finita, non si ricrea. Ricordiamo che siamo la seconda manifattura in Europa con il 40% della produzione, poi viene la Germania con l'11%".
"Bisogna ripensare al reshoring - sottolinea Marenzi - lavorando sul cuneo fiscale e valutando certi fattori come il costo dell'energia che in Italia è il 30% in più degli altri paesi europei. Bisogna pensare anche al costo del lavoro e sono sicuro che ripartirebbe anche tanta occupazione al Sud Italia". "Noi siamo in primi in qualità - incalza Capasa - l'occupazione del settore riguarda un milione di persone. Stiamo rischiando di distruggere la migliore azienda italiana". "Io con Herno sono ripartito da quattro settimane in sicurezza" rivela Marenzi. "Le nostre aziende daranno la priorità alla salute delle persone- conferma Lunelli -. Ricordiamo inoltre che gli associati di Altagamma hanno donato per l'emergenza sanitaria 41 milioni di euro e hanno pagato tutti e i fornitori con grande senso di responsabilità sociale. A questo proposito aggiungo che garantire al sicurezza dei dipendenti vuol dire anche pensare a dettagli come organizzare i turni nella pausa pranzo per evitare assembramenti nelle mense".   "La riapertura dovrà essere graduale - conclude Marenzi - la parte commerciale e amministrativa può continuare in remoto, ma bisogna riaprire almeno il 50% di ogni azienda, per fasce di età, cominciando dai più giovani, pensando ai trasporti più sicuri o consigliando spostamenti con mezzi propri". 

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