Gabrielle Chanel, di cui si celebrano 50 anni dalla morte, avvenuta a Parigi il 10 gennaio 1971, odiava l'eccesso di orpelli, le crinoline e le stecche di balena. "Guardale - commentava indicando le signore mentre passeggiava sulla spiaggia con Boy Capel, l'imprenditore di Newcastle, unico vero amore della sua vita, in una scena del film di Anne Fontaine, Coco Avant Chanel - L'amore prima del mito (2009), interpretato da Audrey Tautou - sembra che in testa portino delle meringhe, non dei cappelli". Infatti, abbandonate dal padre dopo la morte della madre in un collegio di suore, dove lei e le sue sorelle cominciarono a imparare l'arte del cucito, e trascorsa una parentesi di vita oziosa tra feste e cavalcate nella villa del suo primo amante e primo finanziatore, Etienne de Balsan, Gabrielle nel 1909, incoraggiata da Boy, aprì un primo negozio di cappelli a Parigi, pietra miliare del suo inarrestabile successo, che si fermò in rue Cambon, sede di quella che divenne la più celebre maison del mondo. Era necessario porre fine all'epoca dei cappelli sontuosi, ricoperti di piume e impossibili da indossare senza l'elaborata struttura di sostegno, chiamata Pompadour. Coco realizzava invece cappelli di paglia ornati da semplici fiori in raso o singole piume, che conquistarono la prima cliente, l'attrice Emilienne D'Alencon, amante di Etienne. E fu attraverso la rete di amicizie di Balsan, che Chanel concquistò la sua prima clientela. Ma tagliare, cucire, semplificare gli abiti, l'infinito agire della sarta in azione, con la sigaretta sempre accesa tra le mani, era la sua vera passione, scoperta dopo lo choc della morte di Boy a causa di un incidente automobilistico. Suo unico desiderio era diventato a quel punto quello di voler realizzare "l'abito perfetto", quello che avrebbe rivoluzionato la storia del costume femminile dei primi del Novecento. Un paio di forbici aperte, a indicare il suo destino all'opera, avrebbe potuto essere inciso sullo stemma di Gabrielle Chanel, se mai di stemma ne avesse avuto uno. In questa metafora sartoriale si potrebbe rintracciare l'essenza della più grande couturier dello scorso secolo, la rivoluzionaria che gettò alle ortiche i corsetti stringati per creare innaturali vitini di vespa e i cul-de-sac che imbottivano le gonne, condannando le donne a posture dannose per la schiena e svenimenti, inaugurando l'era degli abiti di jersey, morbidi e femminili, dei tailleur in tweed e bouclè con la gonna al ginocchio e la giacca a sacchetto, del bianco e nero, dei fili di perle. Eppure alla nascita non sembrava essere stata baciata dalla fortuna Coco Chanel, pseudonimo di Gabrielle Bonheur Chanel, dovuto al soprannome datole come cantante quando giovanissima si esibiva nella canzone Qui qu'a vu Coco?, in un caffè-concerto di Parigi. Gabrielle nacque infatti a Saumur in un ostello per poveri, il 19 agosto 1883, sotto il segno del Leone. Suo padre Henri-Albert Chanel era un venditore ambulante e sua madre Jeanne DeVolle aveva una salute cagionevole. Morta sua madre il padre provò a prendere con sé i figli per abbandonarli di nuovo a casa della propria madre, a Vichy. Ma la nonna non riuscì ad occuparsi di cinque bambini, così i due maschi, Lucien e Alphonse, vennero mandati a lavorare in un'azienda agricola. Le tre sorelline Chanel, invece, furono affidate alle suore della congregazione del Sacro Cuore, nell'orfanotrofio di Aubazine. Ma questi inizi sfortunati sono stati la base dello stile Chanel.
Infatti già nelle prime collezioni si percepisce l'influenza degli anni di vita trascorsi nel convento, che determinarono i due pilastri della sua moda: "l'amore per il bianco ed il nero e per l'austerità". Ma il suo vero apprendistato cominciò superato il limite di età per restare all'orfanotrofio: Gabrielle venne mandata a scuola di arti domestiche a Notre Dame. A diciotto anni, nel 1901 iniziò a lavorare come commessa a Moulins, in un negozio di biancheria, dove mise a punto le nozioni di cucito apprese dalle suore di Notre Dame e approfondite con la zia Louise. Ma lei non si definiva sarta, piuttosto una creatrice di moda, forse la prima vera stilista del secolo degli stilisti.
"Per prima cosa io non disegno- ripeteva - non ho mai disegnato un vestito. Adopero la mia matita solo per tingermi gli occhi e scrivere lettere. Scolpisco il modello, più che disegnarlo.
Prendo la stoffa e taglio. Poi la appiccico con gli spilli su un manichino e se va, qualcuno la cuce. Se non va, la scucio e poi la ritaglio. Se non va ancora, la butto via e ricomincio da capo. In tutta sincerità non so nemmeno cucire" (Sofia Gnoli, Un secolo di moda italiana, 1900-2000, 2005). Ora, a 50 anni dalla morte di Coco, un altro libro celebra la sua storia, Le sorelle Chanel, scritto da Judithe Little, dedicato alle tre sorelle Julia-Berthe, Gabrielle e Antoinette, che insieme diedero vita alla più prestigiosa maison francese.
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