Cresce la mobilitazione in Cina contro i brand occidentali: dai netizen ai media statali, dalle celebrità alle compagnie hi-tech, la chiamata al boicottaggio di abbigliamento e scarpe di società come H&M e Nike, colpevoli di essersi 'disimpegnate' dallo Xinjiang e dal suo cotone dopo le accuse sui lavori forzati per la produzione, si sta trasformando in uno tsunami.
La tv statale cinese Cctv ha invitato al boicottaggio contro H&M, in linea con il post virale di mercoledì su Weibo della Lega della Gioventù Comunista, nel mezzo di un'escalation che ha preso di mira altri marchi stranieri molto popolari dopo le sanzioni decise lunedì da Usa, Ue, Gb e Canada contro i funzionari cinesi accusati di violazioni dei diritti umani nello Xinjiang a danno di uiguri e altre minoranze musulmane.
"La cosiddetta esistenza del lavoro forzato nello Xinjiang è totalmente fasulla", ha aggiunto Gao Feng, portavoce del ministero del Commercio, che in conferenza stampa ha invitato le società straniere a "correggere le pratiche sbagliate" e a evitare di politicizzare le questioni commerciali, aggiungendo che "l'impeccabile cotone dello Xinjiang non consente di screditarlo e di contaminarlo".
Oltre una trentina di celebrità, tra cui Wang Yibo, popolare cantante e attore, ha annunciato lo stop ai contratti con H&M e Nike. La Cina è il quarto mercato più grande di riferimento del colosso svedese con 520 negozi, secondi per numero solo ai 593 degli Usa: i suoi shop sono spariti dalle mappe del motore di ricerca Baidu e dalle app degli smartphone locali, mentre i prodotti sono introvabili sulle piattaforme di e-commerce, come JD.com, Taobao e Pinduoduo. E nel flagship di Sanlitun, uno dei quartieri dello shopping di Pechino, c'era ben poca gente rispetto al solito nel primissimo pomeriggio, quasi tutti stranieri.
Anche per Nike, icona dell'abbigliamento sportivo che ha in Cina il 23% dei suoi ricavi, gli scenari si sono complicati: la dichiarazione in cui assicurava di non rifornirsi di "materiale tessile" dello Xinjiang è stata ripresa e rilanciata, tanto da costare al titolo un tonfo del 5% a Wall Street. Su Internet sono apparsi video di scarpe bruciate e appelli ai team delle nazionali cinesi di chiudere le sponsorizzazioni con la società Usa. Lo Shanghai Shenhua, team di Seria A del calcio cinese, ha postato le foto degli allenamenti senza il logo Nike sulle divise. Anche Zara, che aveva deciso un "approccio di tolleranza zero nei confronti del lavoro forzato", è finita sotto pressione, mentre i netizen hanno preso di mira altri marchi dell'abbigliamento, come la nipponica Uniqlo e l'americana Gap, tra i possibili autori di attacchi allo Xinjiang.
"Le aziende occidentali devono riconsiderare come trovare un equilibrio tra la Cina e l'Occidente", ha ammonito su Twitter il direttore del tabloid nazionalista Global Times, Hu Xijin. "I loro Paesi non dovrebbero dar loro troppa pressione e spingerli fuori dallo spazio di sopravvivenza. La Cina è aperta agli investimenti stranieri, purché siano rispettate le sue condizioni", ha ammonito Hu.(ANSA).
Ormai è sfida tra la Cina e i brand occidentali di moda, dopo H&M boicotta Nike e altri marchi
'Non potete fare profitti qui e poi diffamare sui diritti umani'