The show must go on. Nonostante la violenta protesta, gli scontri e le devastazioni che hanno scosso la Francia in questi giorni, dopo la morte di Nahel, il giovane di 17 anni ucciso da un poliziotto, le sfilate delle collezioni di alta moda parigine, preparate durante mesi e mesi di lavoro da parte dalle maestranze delle varie maison, si tengono a Parigi come da calendario della Chambre Syndacale de l'Haute Couture Francais.
Il 3 luglio la prima grande casa francese ad aprire le danze è stata la Christian Dior, con la collezione per l'Autunno/Inverno 2023/24, disegnata da Maria Grazia Chiuri, che ha sfilato a Parigi all'interno del Museo Rodin, dedicato a Auguste Rodin, il più grande scultore europeo della fine dell'800, dov'è esposta una collezione unica delle sue opere e quelle da lui collezionate. Il museo si trova nell'hotel Biron, in rue Varenne, uno dei magnifici palazzi dell'aristocratico Faubourg St-Germain, nel settimo arrondissement di Parigi, dove Rodin trascorse gli ultimi anni della sua vita.
Nessuna protesta davanti a questo spazio. La gallery
Così Dior ha fatto sfilare la sua donna-dea, la sua Afrodite, apparsa a un pubblico assiepato al centro del salone, vestita con una lunga serie di abiti bianchi dal taglio perfetto.
Sono long dress dalle forme minimali, archetipi di grande maestria sartoriale. Sembrano scolpiti nel marmo, lo stesso materiale delle statue di Rodin. Sono tuniche, pepli e cappe regali, a cui è concesso il movimento di lunghe ali di tessuto sulle braccia, che altro non sono se non ciò che rimane di lunghe cappe private del davanti. Sembrano paramenti sacri.
"Ho lavorato per sottrazione "dice Churi su Instagram. Ma il bianco lascia spazio al sabbia, quasi un oro chiaro, al verde muschio e al grigio argento. E nel colore domina il ricamo, che si fa denso in alcune mises da grand soirèe. Pochi gli abiti neri. L'haute couture di Dior costruisce un suo tempo, che è riflesso di quelli che sono i processi che la couture obbliga nella sua realizzazione. La couture procede all'interno di una liturgia, in cui il passato s'inserisce nel presente. Nell'atelier non esiste il cartamodello perché la forma disegnata diventa abito che è impronta, calco dell'unicità di un corpo. Nella nuova collezione troviamo fogge che ossessivamente affinano quelli che potremmo chiamare gli archetipi delle forme del vestire. La tunica. Il peplo. La cappa. La stola. È in questo andare alle origini che si colloca l'incontro tra Chiuri e Marta Roberti, l'artista che con il suo lavoro riesce a trasformare la grande scatola in cui si svolge la sfilata in una sorta di galleria d'arte . "Ho studiato le iconografie delle varie dee che quasi sempre sono associate agli animali e mi sono riprodotta imitandone le posture - spiega l'artista - dapprima in modo performativo ho ricalcato con il mio corpo le loro pose e i movimenti incarnando quella estraneità fino ad appropriarmene".
Nelle parole di Roberti che fa diventare il suo corpo calco di quello delle dee - le disegna e si disegna - Chiuri ritrova il gesto poetico della couture in cui l'abito è incarnazione di quel corpo che lo farà suo. La teoria degli abiti che compongono una sequenza in cui l'incedere delle modelle è simile a quello di tutte le dee che hanno governato e governano il mondo.
Silhouette verticale, calzature piatte. Una forma declinata in giacca e in cappotto si struttura nella ripresa delle pieghe fermate sotto il seno, evocazione vestimentaria della statuaria classica, rimando alle scanalature delle colonne. Le perle, simbolo di purezza, sono protagoniste di molti ricami.
Intrecciate insieme a fili d'argento mandano bagliori. Le texture brillanti degli anni Sessanta, riattivate, interpretano gonne lunghe e abiti, in lane, cachemire, grisaglie maschi.