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Il contest che rivisita l'abito tradizionale delle donne sarde

Ilaria e Vincenzo lanciano un provocatorio concorso di idee

Redazione Ansa

(di Antonella Brianda) (ANSA) - IGLESIAS, 13 DIC - La carta è all'inizio di ogni progetto, una sorta di campo di battaglia in cui le idee, anche quelle più azzardate, si incontrano e scontrano e qui possono trovare forma concreta. Dalla carta bianca, come una tela pronta per essere decorata, è partita Ilaria Gorgoni per la sua 'chiamata alle arti' con il Dìuma Open Call, un contest tutto virtuale in cui gli artisti sono stati invitati a reinterpretare uno dei classici della cultura della Sardegna, l'abito femminile tradizionale.
    La tipica gonna a pieghe a cui si sovrappone il grembiule, la camicia candida e il corpetto stretto nella vita, il velo che adorna la testa e le scarpine: tutto è stato reso con la carta, ma in forma virtuale partendo da una fotografia in posa in cui la modella Samara indossa l'abito e i gioielli sardi. E come una pagina bianca, il vestito della modella è stato utilizzato dagli artisti che si sono messi in gioco, come base su cui riflettere e lasciare il proprio segno. L'iniziativa culturale immaginata da Ilaria Gorgoni, fotografa e tatuatrice di Iglesias ma con base a Cagliari, ha come partner l'azienda produttrice di gioielli Dìuma, dell'orafo Vincenzo Dipierro, suo compagno di vita.
    Insieme hanno promosso "Conforme alla forma", un concorso di idee che andrà a comporre una mostra itinerante a Cagliari durante l'evento Bixinau e ad Iglesias. La chiamata si è chiusa lo scorso 5 dicembre e oltre venti sono stati gli artisti che hanno risposto alla provocazione di Ilaria e Vincenzo. Di queste venti opere, giunte principalmente da persone del circuito delle mostre, da illustratori, tatuatori e grafici che lavorano in questo settore, ne sono state selezionate quindici che verranno stampate fisicamente in formato 40x60 oltre che promosse digitalmente.
    "Anche quando lavoro con Dìuma cerco sempre di rivisitare la tradizione sarda - racconta all'ANSA Ilaria Gorgoni -, e in questo caso l'ho voluto fare con il costume. La carta è la mia materia, ho cercato di stilizzare le forme dell'abito e ho pensato che potesse funzionare bene anche a livello fotografico.
    Studio fotografia e cercavo qualcosa adatta per la ritrattistica. Il bianco poi è perfetto come stacco".
    Quarant'anni, studi al liceo artistico di Cagliari e una laurea conseguita all'Accademia di Brera a Milano, un passato di oltre dieci anni nel settore della grafica pubblicitaria e ora un presente da rinomata tatuatrice e fotografa, Gorgoni ha voluto lanciare una provocazione.
    "Ho avuto l'idea - spiega - di giocare brandizzando il costume, utilizzando marchi dello streetwear e brand di lusso molto conosciuti e blasonati. Questo perché ho giocato sul fatto che Dìuma crea prodotti di nicchia, lavora su pochi pezzi artigianali e l'ho messo a confronto con questi marchi noti".
    C'è stato chi ha attinto dalle fonti mitologiche della Sardegna, chi si è fatto ispirare dai ricami della tradizione, chi ha dato spazio al proprio stile personale da tatuatore, chi ha scelto il bianco e nero, linee essenziali e sinuose, chi si è spinto fino all'Oriente e alle sue illustrazioni: i lavori pervenuti raccontano visioni diverse della tradizione, che mantiene le proprie radici, e quindi la forma del costume sardo, ma si evolve come si evolvono i tempi e le persone.
    D'altronde "siamo tutti uniti dalla stessa tradizione ma con dei toni diversi", precisa Vincenzo Dipierro, salentino con origini lucane, approdato ad Alghero.. "Destrutturare la tradizione, è quello che facciamo quotidianamente come artisti.
    Componiamo e scomponiamo. E 'Conforme alla forma' - chiarisce - è tutto quello che noi facciamo, colorando la nostra vita che ci è stata data come una tela bianca". "Io - confessa - non ho un percorso accademico come Ilaria, ho fatto anche un sacco di mestieri prima, tra cui il militare, il commerciante di tavole da surf e skate, poi ero nel marketing e a trent'anni ho iniziato a fare il gioielliere. Vivevo in Sardegna da 25 anni, ma di fatto ero un apolide e avevo la necessità di ritrovare le mie origini, le radici, che ho trovato mescolandole".
    Il gioco insolente di questa monocromia cartacea proposta da Ilaria e Vincenzo ha restituito un'immagine sorprendentemente inedita e allo stesso tempo in grado di enfatizzare l'impossibilità del colore di trascendere alla sua forma originaria: il costume tradizionale sardo. (ANSA).
   

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